Operaclick
Cristian Agostino Stracca
 
Mascagni: Cavalleria rusticana, Leoncavallo: Pagliacci, Salzburg, 28. März 2015

Salisburgo - Grosses Festspielhaus: Cavalleria Rusticana - Pagliacci
 
 
Quando l’anno scorso alla conferenza stampa per la presentazione del Festival di Pasqua 2015 fu annunciato come spettacolo operistico il dittico Cavalleria Rusticana - Pagliacci, in molti arricciarono il naso, alcuni con raccapriccio. Dimenticando che Karajan, vero satrapo della manifestazione pasquale, aveva già dato letture memorabili e rivelatrici di queste partiture, senza spingersi tuttavia a proporle a Salisburgo. La scelta di Christian Thielemann eccentrica quanto si vuole si è rivelata vincente sotto molti punti di vista. Non è caduto nella trappola del sentimentalismo caramelloso, nelle tentazioni strappacuore tanto care ai direttori di vieta tradizione. Cavalleria Rusticana, orchestrata non senza ingenuità ci è sempre apparsa il vero gioiello del dittico verista e la direzione di Thielemann ne ha dato una lettura serrata, traboccante di drammaticità, così diversa dalla prova manierata dell’Arabella dell’anno scorso. Anche i punti più discutibili della partitura mascagnana, come la stretta del duetto Alfio-Santuzza non sono stati scioccamente ingentiliti per trarne dei capolavori, ci sono parsi barbarici nella loro urgenza drammatica. Meno brillante è stata la resa di Pagliacci, partitura dai tratti spesso leziosi e che difficilmente si confanno alla sensibilità del maestro berlinese. Thielemann, sempre attento a non soverchiare le voci dei cantanti quando meritano di essere sentite, ha dosato con sapienza le potenzialità telluriche della compagine sassone, lavorando per accumulazione. Alla fine dei due atti unici le ovazioni liberatorie del pubblico salisburghese così spesso compassato sono state assordanti. Inutile dire che la Staatskapelle Dresden, pur in un repertorio ad essa estraneo, si è rivelata un‘autentica macchina da guerra: severi e compatti gli ottoni quasi fossimo in presenza di un corale bruckneriano, archi di prodigiosa bellezza e accalorata cantabilità. I due celebri intermezzi, sede prediletta per compiaciute esibizioni sinfoniche avulse dal loro contesto, sono volati con rapidità e quasi fastidio. Il cast messo in campo per questo spettacolo ha racchiuso si può dire il meglio sulla piazza per i ruoli principali.

Mattatore della serata è stato certamente Jonas Kaufmann. Aver sottratto i ruoli di Turiddu e Canio ai soliti stereotipi del tenorismo più bieco: gambe larghe piantate in proscenio, acuti sparati con le tonsille al vento, digrignar di denti e tutto l’armamentario del verismo ridotto a caricatura, è già stata un’impresa eroica e gliene siamo grati. Perfettamente in forma, unendo al timbro scuro un canto sfumato e giammai esangue ha trionfato lasciando indietro tutti gli altri componenti del cast.

Dal punto di vista scenico decisamente più prosaica ci è apparsa la Santuzza di Liudmyla Monastyrska. Il soprano ucraino ha cantato senza risparmio tratteggiando efficacemente una Santuzza ferina scomposta e vendicativa, la cui vocalità impressiona soprattutto per volume e potenza di voce.

Notevoli le caratterizzazioni sia di Ambrogio Maestri che di Annalisa Stroppa nei rispettivi ruoli. Ma una menzione particolare va a Stefania Toczyska come mamma Lucia, che ha plasmato una figura fredda, calcolatrice e totalmente anaffettiva. In Pagliacci ricorderemo la prova maiuscola di Alessio Arduini nella parte di Silvio dal canto appassionato ed elegante e dotato di una presenza scenica non trascurabile.

Corretto ma piuttosto generico il Tonio di Dimitri Platanias, mentre la Nedda guardinga di Maria Agresta pur non sfigurando affatto rispetto ai colleghi, ci è sembrata impensierita in più di un momento dai tempi imposti da Thielemann.

Unica nota dolente dello spettacolo il coro dell’opera di Dresda, piuttosto impreciso e certo imparagonabile alla sua orchestra.

La regia di Philipp Stölzl è caratterizzata da un approccio di tipo cinematografico molto gradevole anche se epidermico. Cavalleria Rusticana è tutta giocata sui toni del bianco e del nero in un’ottica fumettistica che rifugge dalla Sicilia raccontata da Verga per approdare tuttavia ai soliti cliché della sicilianità in chiave mafiosa. Pagliacci invece risulta debordante di colori chiassosi che richiamano il mondo delle fiere di paese e dei circhi scalcagnati. Stölzl gestisce tuttavia con intelligenza l’immenso palcoscenico della Grosses Festspielhaus, suddividendola in sei settori su due livelli. Il primo livello è dedicato alle scene di massa e quello superiore mostra l’universo privato dei personaggi. Nei settori rimasti vuoti vengono proiettati tramite telecamere i primi piani dei protagonisti. L’impianto cinematografico risulta molto persuasivo soprattutto quando ad essere inquadrato è Kaufmann. È Impressionante a tal proposito sia il momento del trucco durante “Vesti la giubba” ove il volto del tenore tedesco viene ripreso da vicino, contratto dalla disperazione e dall’amarezza, sia il finale stesso di Pagliacci ove “la commedia è finita” è sussurrato con freddezza prima che lo schianto orchestrale suggelli la penosa vicenda di sangue. Successo strepitoso per questa inaugurazione del Festival di Pasqua, segnata da un quarto d’ora di applausi con punte di entusiasmo irrefrenabile per Thielemann e Kaufmann. L’esito di questo dittico fa ben sperare nell’Otello che l’anno prossimo inaugurerà il Festival 2016, che vedrà Thielemann alle prese con il capolavoro verdiano dopo vent’anni esatti dalle recite dirette da lui stesso al Comunale di Bologna.
 
 
 
 






 
 
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