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Opera Lirica, 08.09.2024 |
Giovanni Zambon |
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Puccini: Tosca, Arena di Verona, 30. August 2024
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"TOSCA" A VERONA (30/08) |
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In una Verona infuocata di fine estate -le temperature nel pomeriggio si
aggiravano attorno ai trentacinque gradi- è andata in scena venerdì 30
agosto l'ultima replica della "Tosca" secondo Hugo de Ana. Sulla carta
questa "Tosca" -che rientra nei titoli proposti per le celebrazioni del
centenario della morte di Puccini (quest'estate in Arena il pubblico ha
applaudito anche "Turandot" e "La Bohème")- prometteva bene, molto bene
visto il cast stellare che Fondazione Arena ha proposto ad un pubblico fin
da subito estasiato, che non appena ha udito, annunciato dagli altoparlanti,
il nome di Jonas Kaufmann, è esploso in un fragoroso applauso. Insomma, le
aspettative erano piuttosto alte (a fianco a Kaufmann quale Cavaradossi,
Stikhina quale Tosca e Tezièr nei panni di Scarpia) e il pubblico non è di
certo rimasto deluso. A splendere non è stata soltanto però la stella di
Kaufmann, ma anche quella degli altri protagonisti, direttore d'orchestra
incluso.
L'allestimento, curato dal regista argentino Hugo De Ana -un
nome e una garanzia a Verona, quest'anno suo anche "Il barbiere di
Siviglia"-, è presente nell'anfiteatro fin dal 2006 quando a calcare il
palco c'erano la Cedolins, Álverez e Raimondi ed è stato più volte ripreso
sempre con successo perché propone quella componente che in Arena è tra gli
ingredienti fondamentali per una messinscena di valore: la spettacolarità e
l'utilizzo di maestosi effetti scenici. Innanzitutto, quella di De Ana è una
Tosca "militare", è costantemente richiamata infatti la guerriglia, la
battaglia, che nei giorni di quel giugno del 1800 vedeva prima sconfitto e
poi vincente Napoleone Bonaparte. Fortissimo (anche troppo) il colpo di
cannone che annuncia la fuga da Castel Sant'Angelo del "console della spenta
repubblica romana" Cesare Angelotti, continui durante il Te Deum i colpi dei
cannoni che borbottano sommessamente quasi a sottolineare le barbare
intenzioni del capo della polizia romana, numerosi i colpi esplosi e anche
qui forse troppo forti alla fucilazione di Cavaradossi. Funziona molto bene
in questa "Tosca" la gestione delle masse e il colpo di genio del maestoso
Te Deum, scena sensazionale che per musica e qui anche per regia non può non
impressionare lo spettatore. Nonostante anche "Tosca" -come le altre opere
di Puccini- abbia un carattere piuttosto intimo, la grande testa e le due
braccia (una delle quali si abbassa nel terzo atto a sottolineare la
sconfitta di tutti i personaggi, o forse a simboleggiare il fato che funesto
cala la scure sui protagonisti) sembrano realizzare in uno spazio così ampio
una dimensione riservata, appartata, in cui va in scena il dramma personale
di Tosca. Stupendi e preziosi i costumi d'epoca curati sempre da De Ana,
funzionali le luci e le scene (sempre di De Ana).
A dirigere
l'orchestra è ancora una volta l'israeliano Daniel Oren, giunto ormai al
quarantesimo anniversario dalla prima "Tosca" e dal debutto in Arena (4
luglio 1984, nel cast Éva Marton, Giacomo Aragall e Ingvar Wixell). La sua
lettura del capolavoro pucciniano lascia senz'altro convinti, dalla scelta
dei tempi alla gestione delle dinamiche e timbriche. Nonostante qualche
momento forse un po' troppo concitato e diversi scollamenti tra buca e
palcoscenico, tra orchestra e solisti -dovuti sicuramente a poche, se non
pochissime prove-, Oren esce vittorioso dalla recita, regalando al pubblico
un'orchestra estremamente coesa, unita, ricca di colori che emergono e
creano suggestioni, mai monotona e sempre attenta ad ogni richiesta di
maggior enfasi da parte di Oren, che stupisce fra l'altro per la capacità
comunicativa e il gesto ricco di pathos. Meravigliosi in particolare alcuni
momenti che vedono la compagine orchestrale protagonista, da citare la lunga
apertura del terzo atto che precede l'aria di Cavaradossi.
Soddisfano
il pubblico i tre protagonisti che dominano la scena con i loro strumenti
vocali estremamente potenti e ben utilizzati. Brilla la stella di Jonas
Kaufmann, meritatamente tanto atteso a Verona e accolto entusiasticamente
dal pubblico gremito nelle gradinate e in platea. Il tenore possiede a mio
avviso tutte le carte in regola per essere considerato tra i più grandi
artisti viventi: in un luogo come l'arena dove il suono è soggetto ad
un'enorme dispersione, la sua voce viaggia generosa tra le antiche pietre e
raggiunge anche lo spettatore più in alto di tutti; il timbro è brunito,
talvolta molto scuro specialmente nella zona centrale e in quella grave del
registro, quasi baritonale, ma sempre vario e ricco di colori, capace di
lunghi acuti dal piglio fiero e in grado anche di piegarsi alle dolci linee
melodiche di "E lucevan le stelle" e a filati nella zona acuta. La prova di
Kaufmann è in crescendo nel corso della recita, anche se riscontriamo una
stanchezza generale -percepibile soprattutto nel registro acuto- a partire
dal terzo atto quando il fraseggio va frammentandosi soprattutto nel duetto
con la Stikhina. Nonostante le buone abilità di attore che Kaufmann ha
sempre dimostrato, forse a causa delle poche prove talvolta si muove sulla
scena in modo un po' approssimativo senza dimostrare troppo coinvolgimento e
complicità con i colleghi. La sua resta comunque una prova ottima che il
pubblico ha decisamente apprezzato.
In crescendo anche la prova di
Ludovic Tezier, che nel corso della recita sfoggia tutta l'ampiezza e la
potenza del timbro meraviglioso a cui ha abituato il pubblico. Se il
fraseggio è forse nel primo atto e nel Te Deum un po' spezzato, mano a mano
che lo spettacolo continua il suono si rivela bilanciato, ricco di armonici
e di colori, a cui vanno aggiunte grandi capacità di attore che in un ruolo
come Scarpia sono fondamentali almeno quanto quelle vocali. Il suo Scarpia è
un uomo terribile, insinuante, sempre più malvagio e insensibile alla
disperazione di Tosca, sembra veramente godere (anche attraverso la voce)
nel provocare dolore agli altri personaggi. Insomma, uno Scarpia così
approfondito che lo si arriva ad odiare profondamente fin quasi ad attendere
il momento della sua morte.
A convincere di più è però la Tosca di
Elena Stikhina, che della diva ha movenze e voce. Il personaggio
tratteggiato dal soprano risulta completo soprattutto per lo strumento di
cui è in possesso: la voce è ampia, ben proiettata e soprattutto ricca di
sfumature, bilanciata in ogni zona del registro. La Stikhina non scade mai
in frasi urlate o parlate, ma preferisce utilizzare tutta la potenza
drammatica della propria voce per esprimere al meglio il dolore e il
disgusto nei confronti delle intenzioni di Scarpia. Il suo "Vissi d'arte" è
senz'ombra di dubbio memorabile, la Stikhina riesce a incantare il pubblico
e a lasciare tutti con il fiato sospeso. Decisamente all'altezza della
situazione le notevoli capacità di attrice del soprano, che si muove a
proprio agio e che si dimostra coinvolta in un personaggio che le si addice
per caratteristiche vocali e che ha ben approfondito e portato in scena con
tutte le sue sfaccettature.
A completare il cast l'ottimo Angelotti
di Gabriele Sagona, il puntuale Sagrestano di Giulio Mastrototaro,
l'ineccepibile Spoletta di Carlo Bosi, l'apprezzabile Nicolò Ceriani quale
Sciarrone e il Carceriere di Carlo Striuli. Buono l'intervento del Pastore
di Mattia Lucatti Veronese.
Puntuale e sicuro, sempre omogeneo, il
coro preparato da Roberto Gabbiani, così come anche il coro di voci bianche
A LI.VE. diretto da Paolo Facincani. Al termine della recita, grande
successo personale per i tre protagonisti, accolti da ovazioni, e per il
direttore d'orchestra.
La recensione si riferisce alla replica di
venerdì 30 agosto 2024.
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