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Il Mattino, 18 Aprile 2023 |
di Stefano Valanzuolo |
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Wagner: Die Walküre, Neapel, ab 16. April 2023
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«La valchiria» al Teatro San Carlo di Napoli: Ettinger e Kaufmann incantano |
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Dan Ettinger dirige l'orchestra del San Carlo e le concede l'onore
di salire tutta sul palco, insieme a lui |
Andare a vedere «La valchiria», cinque ore quasi di spettacolo, sa di
cimento, ché non siamo abituati a quelle durate e, in fondo, nemmeno troppo
a Wagner. Utile a consolidare la confidenza col pubblico, allora, è che il
San Carlo riproponga, a soli quattro anni dall'ultima uscita, il titolo in
questione, mettendo a frutto un bell'allestimento di proprietà - regia di
Federico Tiezzi, scene di Giulio Paolini, costumi di Giovanna Buzzi, luci di
Gianni Pollini che aveva debuttato nel 2005, conquistando un Premio Abbiati.
L'edizione in scena dall'altro ieri (repliche fino a sabato 29 aprile) fa
leva, dunque, su una componente visiva collaudata, che rinuncia al
campionario mitologico base e cerca una dimensione trascendente tra richiami
di valenza concettuale, non per questo poco suggestivi.
Dal secondo
atto in poi, si assiste alla rappresentazione di un mondo regolato da una
ritualità arcana sempre più vacillante, i cui riferimenti sembrano sfaldarsi
insieme ai piani teatrali. Il finale si consuma in uno spazio elementare,
quasi una gabbia destinata a incorporare Brünnhilde, in un'ondata di luce
rossa che allude alla fiamma. C'è efficace coerenza tra lo sfondo creato da
Paolini e la regia, intesa anche come attenzione al gesto, ricavata da
Tiezzi, che rispetta la simmetria delle linee teatrali come in un
cerimoniale laico all'interno del quale le vicende dei personaggi sfiorano i
margini del dramma familiare, o borghese se si vuole. Il motore
drammaturgico diventa Wotan, più «padre» che «padre degli dei», svestito
cioè di carisma divino, specialmente nel fatidico finale terzo. La
narrazione scorre, dispensando non effetti speciali ma buon gusto
(fantasiosi e netti i costumi), in qualche caso descrivendo per sottrazione.
Il che, con opere «abbondant», non è generalmente un male.
«La
valchiria» ascoltata domenica scorsa, va detto subito, è spettacolo cantato
bene e ha in Jonas Kaufmann senza dubbio l'elemento più mediatico del cast:
a Siegmund, il suo personaggio, Wagner consegna un primo atto faticosissimo
e altrettanto affascinante. Il tenore gestisce con mestiere i punti di
affanno non casuali e viene fuori dall'impresa con disinvoltura da star: la
forza di seduzione dei timbri bruniti è assodata, il fraseggio sostenuto con
prestanza eroica, la resa scenica pertinente. Non convincono, magari certe
mezze voci compiaciute (cui il tenore, comunque, ricorre meno e meglio che
in tanto repertorio italiano), ma la pertinenza del tutto resta poco
discutibile.
Brilla, se parliamo di primo atto, la Sieglinde di Vida
Mikneviciuté, giovane e giovanile, senza appesantimenti espressivi,
gradevole nello squillo (solo talora penalizzato dal vibrato insistente) e
accurata nella zona centrale del registro. Christopher Maltman canta Wotan
con stile da wagneriano British, ossia dando nobiltà al personaggio e
spessore non prepotente alla trama vocale, cercando sfumature che compongano
una personalità frastagliata; peccato che alla fine dell'opera il suo volume
cali e, con esso, un po' di tensione.
Okka von der Damerau è una
Brünnhilde da manuale: felicemente portata all'eccesso da una partitura
scabrosa (all'inizio del secondo atto), sfodera una voce grande e energia
scenica adeguata, senza picchi di brillantezza ma anche senza pause. Ottimi
per qualità vocale e per rigore interpretativo John Relyea (Hunding) e
Varduhi Abrahamyan (Fricka).
Dan Ettinger dirige l'orchestra del San
Carlo e, nel segno di una collaborazione affettuosa, le concede l'onore di
salire tutta sul palco, insieme a lui, per i ringraziamenti finali. La
rilettura musicale è funzionale alla riuscita della serata, non ha velleità
di risultare elegante o approfondita ma provvede a fornire il sostegno
giusto ai protagonisti; e se - come già rilevato l'opera è cantata bene, i
meriti vanno divisi col podio. Ettinger sta addosso all'azione, lasciando
che tutto scorra come una nobile colonna sonora, con slanci sinfonici poco
pretenziosi, qualche sgranatura a inizio terzo atto (presto rinsaldata),
infine con un suono che rimane presente, grazie alla compattezza
dell'orchestra, pur cedendo qua e là alla tentazione dell'enfasi. Successo
caloroso, alla fine, in una sala affollata e attenta.
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