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L'ape musicale, 17 Aprile 2023 |
di Luigi Raso |
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Wagner: Die Walküre, Neapel, ab 16. April 2023
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L'incantesimo della Valchiria |
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Die Walküre torna al San Carlo per la terza volta nell'allestimento
con la regia di Federico Tiezzi, le scene di Giulio Paolini e i costumi di
Giovanna Buzzi. Questa volta, dopo Tate e Valčuha sul podio c'è Dan Ettinger
e in un cast d'altissimo livello spicca il Siegmund di Jonas Kaufmann. |
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NAPOLI, 16 aprile 2023 - Gli annali del San Carlo narrano che Die Walküre,
tra le opere che compongono Der Ring des Nibelungen, detiene il primato di
opera più rappresentata. Primato comprensibile, perché dei quattro drammi
del Ringè indubbiamente quello che possiede una maggiore autonomia
drammaturgica; nei fatti, del resto, questo allestimento – firmato per la
regia da Federico Tiezzi e vincitore nel 2006 di ben due premi Abbiati, per
le scenografie di Giulio Paolini e i costumi di Giovanna Buzzi – al Teatro
di San Carlo, negli ultimi diciotto anni, è stato proposto ben tre volte:
nel 2005, diretta dal compianto Jeffrey Tate, nel 2019 (qui la recensione:
https://www.apemusicale.it/joomla/it/recensioni/48-opera/opera2019/7854-napoli-die-walkuere-16-05-2019)
e, infine, stasera. Un record che nessuna opera di Wagner al massimo
partenopeo può al momento eguagliare. L’augurio è che, prima o poi, Die
Walküre (ri)diventi uno dei quattro tasselli della Tetralogia, da troppe
decadi assente a Napoli
Ma se il trascorrere del tempo ci ricorda di
non aver visto ancora rappresentato integralmente il Ring al San Carlo, al
tempo stesso ci fa apprezzare ancora una volta uno degli allestimenti più
eleganti che il teatro abbia prodotto nel primo scorcio del nuovo millennio:
il tempo, dunque, non sembra aver intaccato l’elegante atemporalità
dell’aspetto scenografico, che ancora oggi appare una riuscita fusione tra
architettura e scultura.
Le scene di Giulio Paolini, eleganti nel
loro minimalismo ed evocatrici di un’atmosfera astratta, fanno da cornice a
un dramma borghese che si svolge all’interno della cerchia di una famiglia
dell’800. L’impianto dell’artista concettuale (classe 1940) è imperniato su
una gabbia cubica che racchiude il frassino/focolare domestico, macigni
vulcanici, cornici che a loro volta racchiudono sezioni di sculture
classiche e, infine, il catafalco sul quale Wotan fa addormentare
Brünnhilde. Le luci, firmate da Gianni Pollini, e in particolare la cura dei
colori dei fondali, contribuiscono ad amplificare la connotazione atemporale
dell’allestimento, acuendo la plasticità degli elementi scenografici.
Divisi tra rimandi alla moda borghese ottocentesca e alla mitologia
della saga di Wotan e dei Nibelunghi, gli eleganti costumi di Giovanna Buzzi
confermano l’originaria sintonia con la scenografia e con il disegno
registico, firmato da Federico Tiezzi, e ora ripreso da Francesco
Torrigiani.
La regia umanizza il dramma che coinvolge dèi, mortali,
eroi, donne e uomini: racconta una storia in cui gli dèi si comportano da
uomini, con tutto il naturale corredo di passioni, rancori e conflitti;
quindi, gestualità misurata, ben calibrata sulla scarna teatralità
dell’opera lontana dai richiami della solennità del Walhalla; la Cavalcata
delle Valchirie è risolta concentrandosi sul dolore dei caduti piuttosto che
sulla celebrazione dell’eroismo: gli eroi sono rappresentati come feriti in
battaglia, deposti su un marmo gelido. Si ha la sensazione che la concezione
di Federico Tiezzi faccia attenzione a non sovrapporsi all’impianto
scenografico, che quasi abbia timore di offuscare i ‘quadri’ di Giulio
Paolini: nel loro interno immette una recitazione sobria, asciutta che
arriva a realizzare le distanze fisiche dei protagonisti (significativa
quella, iniziale, tra Wotan e Brünnhilde al principio del lungo duetto
dell’atto III) sul palcoscenico come corredi iconografici, al servizio della
scenografia.
Sul versante musicale, dopo Jeffrey Tate che tenne a
battesimo questa produzione e Juraj Valčuha che la diresse nel 2019, questa
sera compete a Dan Ettinger, direttore musicale del Teatro di San Carlo, la
responsabilità dello spettacolo.
Sin dalla tempesta che apre l’atto I
la concertazione di Ettinger appare incalzante e travolgente: molto
apprezzato il suono ruvido che iniziale, introduzione sonora quanto mai
appropriata allo squallore della casa di Sieglinde e Hunding.
Pur non
rinunciando talora a sonorità eccessivamente truculente, la direzione Di
Ettinger ha il merito di donare fluidità all’opera e di soffermarsi, in
qualche punto cruciale, sulle finezze strumentali. Ettinger garantisce
sempre un ottimo equilibrio tra palcoscenico e ‘golfo mistico’ (stiam
parlando di Wagner, e la locuzione ampollosa è appropriata!), tiene unita
un’orchestra in eccellente forma – al netto di alcune incertezze, ricorrenti
quanto giustificabili in un’opera del genere, degli ottoni –, dal suono
molto fendente, deciso, il quale in quell’effetto speciale che è
l’incantesimo del fuoco raggiunge il punto strumentale più alto della
rappresentazione.
Jonas Kaufmann, ormai di casa al San Carlo e
beniamino del suo pubblico, è un Siegmund umanissimo, lacerato,
introspettivo. Sfoggia una eccellente forma vocale; ma a far emergere la sua
interpretazione è in particolare la sua conclamata attitudine a rendere
lirico e intenso il canto wagneriano. Tra gli aspetti che fanno di Jonas
Kaufmann un artista contemporaneo dalla rara e profonda intelligenza
musicale c’è sicuramente quello di aver incanalato la visione della vocalità
wagneriana nel solco di quella liricizzata tracciata più di mezzo secolo fa
da Jon Vickers. E stasera si apprezza il Siegmund del tenore bavarese per la
raffinatezza del suo canto legato, sfumato, nobile e al tempo stesso
umanissimo, pur senza rinunciare a sfoggiare una vocalità piena e virile
sulla frase “Wälse! Wälse!”, tenuta con voce piena, timbrata e
proiettatissima. L’incipit del duetto conclusivo dell’atto I è una carezza
musicale che Siegmund rivolge alla sorella-amante Sieglinde: il prosieguo,
un crescendo di intensità, scavo nel fraseggio in una delle pagine più belle
dell’intero repertorio wagneriano (e non solo). Ancor più vivi si
percepiscono l’intelligenza dell’artista e la visione interpretativa di
Siegmund – umana, troppo umana, grondante di irredimibile infelicità – nella
sublime scena dell’annuncio di morte di Brünnhilde: qui Jonas Kaufmann è
perfetto nel mettere al servizio dell’espressività la sua personalissima –
ed eterodossa – tecnica vocale: il suo è un canto è legato, sospeso,
oscillante tra smorzature e accenti arroventati. Una meraviglia.
Ma
le gioie vocali in questa Walküre non si esauriscono con il divo Jonas
Kaufmann.Scopriamole seguendo il rigoroso ordine di locandina.
John
Relyea è Hunding, perfetto per peso e caratura vocale, per il colore scuro
del timbro e l’espressione torva e accigliata della sua interpretazione.
Christopher Maltman è Wotan, dal bel timbro e, soprattutto, magnifico
per la sfaccettata interpretazione del personaggio: grazie a una raffinata
tecnica di emissione farcisce la scrittura di mezzevoci, forti disperati,
indaga nella profondità il testo. Nel lungo monologo di Wotan dell’atto II –
momento cruciale dell’intero Ring, laddove Richard Wagner quasi riassume
quanto accaduto prima e preannuncia ciò che accadrà - a giganteggiare è la
personalità artistica di Maltman; altrettanto analitico e raffinato
cesellatore si dimostra nello struggente “Addio di Wotan” a Brünnhilde. E
qui il lavoro di cesello, il magnifico legato, l’acume interpretativo che si
sofferma su ogni singola parola, sostenuti dal manto orchestrale che gli
stende Dan Ettinger, rendono l’addio di un padre alla figlia prediletta
malinconico, intensamente suggestivo e doloroso nella suo processo di
umanizzazione.
Ottima per corposità e organizzazione vocale la
Siegliende di Vida Miknevičiūtė: oltre che per la solidità, il notevole peso
specifico, il bel timbro brunito, il soprano lituano s’impone per il carisma
della personalità artistica e per lo scavo interpretativo: la sua è una
Sieglinde palpitante, mai del tutto domata dagli eventi.
Più
articolato il discorso sulla Brünnhilde di Okka von der Damerau: possedendo
una vocalità propriamente più mezzosopranile che sopranile, sconta, sin dal
“Hojotoho! Hojotoho!” in apertura dell’atto II, notevoli difficoltà nel
registro acuto; tuttavia, all’opposto, vanta un registro centrale e grave
ricchi di armonici, sempre a fuoco, possenti per volume e ben proiettati.
L’interprete è vibrante, in perfetta sintonia con il Wotan di Christopher
Maltman e il Siegmund di Jonas Kaufmann.
Quella di Fricka è parte
ingrata: un lungo duetto con il marito Wotan, privo però della qualità
musicale di altre pagine di Walküre; tuttavia Varduhi Abrahamyan è molto
brava a far emergere il lato della moglie costantemente tradita e offesa, un
po’ petulante e severa custode della morale matrimoniale. La sua vocalità
tradisce a volte qualche velatura e affaticamento, ma nel complesso
l’interpretazione del mezzosoprano armeno è ben delineata e riuscita.
Le restanti otto valchirie (Gerhilde, Ortlinde, Waltraute, Schwertleite,
Helmvige, Seigrune, Grimgerde, Rossweisse, rispettivamente Nina-Maria
Fischer, Miriam Clark, Margarita Gritskova, Christel Loetzsch, Regine
Hangler, Julia Rutigliano, Edna Prochnik, Marie-Luise Dreßen) purtroppo non
si distinguono nei loro interventi per la precisione dell’intonazione.
Alla termine dello spettacolo, della durata complessiva prossima alle
cinque ore, la sala del Teatro San Carlo, gremita come se in scena vi
fossero dati Rigoletto,Tosca o La traviata, tributa un meritatissimo
successo a tutti gli artisti, applaudendoli calorosamente e per molti
minuti. Die Walküre e “l’incantesimo del fuoco” sono riuscite a inibire
persino la consueta e irritante corsa al primo taxi disponibile!
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