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la Repubblica, 13 Marzo 2022 |
di Corrado Augias |
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Puccini: Turandot, Rom, Accademia di Santa Cecilia, 12. März 2022
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Musica e grandi voci, la 'Turandot' di Pappano splende con l'essenziale |
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All'Auditorium Parco della Musica di Roma l'opera di Puccini in
forma di concerto con l'orchestra di Santa Cecilia, Sondra Radvanovsky
(Turandot), Jonas Kaufmann (Calaf), Ermonela Jaho (Liù) |
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Mentre ascoltavo la scintillante esecuzione di Turandot (12 marzo, sala
Santa Cecilia dell'Auditorium Parco della Musica di Roma) ho avuto un
pensiero che non condivido: davanti a una interpretazione di tale livello di
un'opera lirica in forma di concerto, ho pensato che di scenografie,
costumi, azioni sceniche si può anche fare a meno, alla loro mancanza
supplisce la musica. Dirò di più: quando Calaf (Jonas Kaufmann) s'avvicina a
Turandot (Sondra Radvanovsky) e, come prescrive il libretto, veramente la
bacia, anche se fuggevolmente, si ha come un senso di violazione, un di più,
rispetto alle pure astrazioni sonore e mentali portate fino a quel momento
dall'esecuzione musicale. Tra l'altro, Puccini aveva suggerito al suo
librettista che quel bacio avrebbe dovuto essere "moderno e tutti presi si
mettono a lingua in bocca" (sic). Questo ovviamente all'Auditorium non è
successo, i due interpreti si sono limitati a un breve avvicinarsi delle
labbra.
Ho definito improprio il mio pensiero perché la destinazione
naturale di un'opera è ovviamente il palcoscenico con i suoi addobbi e i
suoi riti, la sua verosimiglianza scenica anche se le armi sono spuntate e
il sangue è solo una tintura. Tutto il teatro è finzione, il suo incanto
viene proprio dalla sua capacità di sospendere il verosimile. Può accadere
però che musica e canto riescano a bastare a se stessi. Tanto più in
Turandot se tutte le componenti in gioco agiscono al livello di cui s'è
avuta la prova sabato. Il direttore Antonio Pappano, tempi perfetti, ha
ottenuto un suono dove il nitore sonoro di singoli strumenti o sezioni
confluiva nel compatto amalgama sonoro dell'insieme. Esemplare la dinamica,
i forte e i piano, i misuratissimi diminuendo, rendevano spesso da soli
l'effetto teatrale di certe scene. Era la prima volta che Pappano dirigeva
Turandot, la sua robusta esperienza pucciniana lo ha assistito nel modo
migliore.
Vera protagonista della serata è stata il soprano
statunitense Sondra Radvanovsky; dopo una leggera incertezza iniziale, è
stata impeccabile nell'intonazione, sicura sull'intero registro, per di più
bravissima nel seguire il dettato dell'antica formula: 'recitar cantando'.
Al suo fianco il tenore Jonas Kaufmann ha mostrato, com'era ovvio
aspettarsi, grande padronanza vocale, coprendo agevolmente ogni più ardua
asperità del ruolo. A tratti, però, è sembrato che la voce soffrisse come di
un'impalpabile velatura. In termini brutali si potrebbe dire che,
soprattutto nella celebre romanza Nessun dorma che s'inerpica fino al si
alto, è mancato lo squillo di Pavarotti. Azzardo l'ipotesi che la parte di
Calaf non fosse del tutto adatta a un tenore come lui, di voce profonda
tendente, con gli anni, al baritonale.
L'altra vera protagonista
della serata è stata il soprano Ermonela Jaho nel ruolo di Liù, la schiava
che è anche schiava d'amore per Calaf, pronta, per quell'amore, a togliersi
la vita. Di fronte alla gelida regalità di Turandot, Liù è l'ultima
incarnazione delle povere eroine pucciniane (Mimì, Butterfly, la stessa
Tosca) destinate a soccombere. Ermonela Jaho (riconosciuta interprete della
verdiana Violetta) ha interpretato il ruolo di Liù con impeccabili filature
senza cedere di un millimetro nel registro alto. Commovente nell'orazione
finale (Io chiudo stanca gli occhi...). S'è guadagnata, a giusto titolo, un
caldo applauso a scena aperta.
L'orchestra di Santa Cecilia s'è
confermata una delle migliori orchestre non solo italiane ma europee. Ottimo
il coro in questo caso integrato dalle voci bianche. Qualche anno fa si
polemizzò sulla lacrimosa facilità di certe arie pucciniane, canzonette, si
disse, ignorando che il maestro è stato il solo a recepire la modernità
musicale europea, non solo Wagner, ma anche Stravinsky. Con Turandot, ultimo
suo lavoro che non riuscì a completare, aveva intuito una nuova strada per
il melodramma italiano aprendolo verso un possibile futuro. Purtroppo, non
c'è stato.
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