Connessi all'Opera, 20 Dicembre 2022
Pietro Dall'Aglio
 
Puccini: Tosca, Zürich, ab 15. Dezember 2022

Zurigo, Opernhaus – Tosca (con Radvanovsky, Kaufmann, Terfel)
 
 
L’Opera di Zurigo ha ripreso con enorme successo di pubblico lo spettacolo ormai più che trentennale di Tosca firmato da Robert Carsen. Per l’occasione poteva contare su un cast a dir poco stellare che annoverava Sondra Radvanovsky, Jonas Kaufmann e Bryn Terfel nei tre ruoli principali di Tosca, Cavaradossi e Scarpia. I tre grandi nomi, il cui riscontro ottenuto dai presenti in sala è stato ben degno della loro fama, hanno garantito il trionfo per questa ripresa, reso possibile anche dalla direzione tesa e piena di energia del direttore musicale del teatro svizzero, l’italiano Gianandrea Noseda. È stata una serata memorabile dal tutto esaurito (e prezzi da serata di gala) dove la tensione drammatica e la qualità della performance hanno tenuto gli spettatori, provenienti da diversi paesi europei, letteralmente attaccati alle poltrone fino alla fine. Non capita spessissimo e quindi è opportuno riferirne adeguatamente.

Sondra Radvanovsky, che ha il ruolo del titolo in repertorio da più di dieci anni, dona tutta se stessa con generosità e capacità da cantante-attrice, arrivando a fondersi con il personaggio di Floria Tosca. La voce, abituata a cantare in sale ben più grandi come il MET, abbonda di volume con acuti penetranti che bucano senza problemi anche quando l’orchestra spinge a tutto volume. Il suono non è sempre gradevolissimo con alcuni sentori asprigni in acuto usati però abilmente a scopo interpretativo come negli attacchi in acuto e progressioni del confronto-scontro con Scarpia. Ben torniti i centri e calibrati i suoni di petto senza essere caricaturali. Radvanovsky sposa la lettura registica incentrata sulla Diva e ogni suo gesto rimanda a quello. È fondamentalmente grazie al suo temperamento di fuoco che il secondo atto diventa avvincente a livello teatrale e psicologico arrivando in qualche modo anche a contagiare i suoi colleghi. Il suo “Vissi d’arte” cantato a terra è fortemente emozionale e drammatico nel tendere la frase musicale e supportare le dinamiche dal pianissimo al fortissimo come nel diminuendo-crescendo che esegue sull’ultima nota del “così”, seguito poi da un’ovazione generale. Perfettibile la dizione, soprattutto nell’articolazione delle consonanti doppie e nell’uso dell’accentazione delle parole. Nel complesso è stata però una prova iper coinvolgente, a tratti sopra le righe, ma giustamente celebrata da l pubblico.

Jonas Kaufmann torna a Zurigo nel ruolo di Cavaradossi dopo una lunga assenza, e proprio nella stessa produzione che lo aveva visto protagonista nel 2009. Gli anni sono passati e il rischio del confronto con se stesso c’è sicuramente ma Kaufmann, pur con un tipo di suono inevitabilmente differente da 13 anni fa, non fa rimpiangere se stesso e dimostra un’ottima tenuta per tutta l’opera. Attacca “Recondita armonia” con notevole eleganza di fraseggio terminando l’aria con un diminuendo da manuale sul “sei tu” in chiusura che praticamente si porta subito a casa i favori del pubblico, che esplode in grandi applausi. Il tenore tedesco dimostra poi di essere in grado di grandi finezze nel modulare e controllare i fiati in “E lucevan le stelle”, smorzati e rafforzati in una sorta di continuum circolare, su un’emissione particolarissima sì, ma che sarebbe sbagliato declassare a semplice falsetto – proprio per la difficoltà tecnica di quello che esegue. Esibisce quindi una bella varietà di dinamiche in “O dolci mani”. Sonoro e centrato, senza forzature, il suo “Vittoria! Vittoria!” che risuona con enfasi. Nel complesso tratta di una bella prestazione con il sigillo del grande artista che anche a distanza di anni riesce a dire qualcosa di valore. A livello di presenza scenica probabilmente appare meno disinvolto che in passato (soprattutto nel primo atto) con un fondo di scura malinconia che però ben si sposa con il terzo atto; Kaufmann resta concentratissimo sul canto che infatti risulta per tutto il tempo molto ben bilanciato e mai fuori posto.

Bryn Terfel dà vita a un ritratto credibilissimo e articolato di Scarpia, ripugnante, sadico e predatore, ma anche umano nel fervido desiderio nutrito per la diva. Il basso baritono gallese appare in condizioni vocali migliori che in altre occasioni con un suono ben presente in sala, al netto di qualche acuto sporcato nei momenti di maggiore concitazione o di alto volume orchestrale. La sua presenza scenica ha un che di cinematografico e insieme a Radavnovsky dà vita a un secondo atto indimenticabile. Certo c’è un’enfasi quasi declamatoria e iper caratterizzata nel suo canto, ma il personaggio arriva tutto e questo conta. A metà del primo atto passa di meno anche a causa dell’impostazione registica (l’arrivo in quella che dovrebbe essere una chiesa ma che in realtà è un teatro non ha molto di intimidatorio), salvo poi trovare pieno fervore in “Tre sbirri.. Una carrozza.. Presto”.
Interessante la voce scura e ben tornita dell’Angelotti di Brent Michael Smith. Buoni gli interventi di Aksel Daveyan come Sciarrone e Benjamin Molonfalean nei panni del carceriere. Funzionale, anche se non sempre comprensibile, lo Spoletta di Martin Zysset. Confusa invece la dizione del sagrestano Valeriy Murga. Ben udibile e musicale il pastorello di Claire Schurter.

Dal podio Gianandrea Noseda riesce a ottenere dalla Philharmonia Zürich un sono ricco, pulito, coeso e sempre bello da ascoltare, con una lettura a tratti sinfonica ma che comunque alimenta di continuo la tensione drammatica, sospesa per l’occasione nei momenti topici di “E lucevan le stelle” e “Vissi d’arte”. Per la cura dimostrata nel valorizzare diversi passaggi spesso trascurati, i soli strumentali del clarinetto, oltre all’introduzione all’aria del terzo atto con i violoncelli, Noseda dimostra di conoscere bene la partitura pucciniana coniugando la cura del dettaglio a una visione d’insieme organica. Il coro dell’Opera di Zurigo diretto da Ernst Raffelsberger canta il Te Deum con grande solidità e fervore. Curata anche la cantata fuori scena del secondo atto dove su tutti emerge però con prepotenza la voce di Radavnovsky.

Lo spettacolo, come detto, è quello un po’ datato di Robert Carsen (scene e costumi di Alexander Lowde), concepito nel 1990 per l’Opera di Anversa e visto in diverse città europee, tra cui Amburgo, Barcellona e Venezia. Non sarà uno dei suoi migliori ma – vinto lo scetticismo iniziale per chi non riesce a distaccarsi dall’impianto estetico solito (soprattutto nel primo atto è difficile dimenticarsi di Sant’Andrea della Valle) – lo spettacolo funziona in qualche modo, a patto che il cast sia all’altezza. A Zurigo va in scena dal 2009 ed è stato ripreso l’ultima volta nel 2021. Una regia, quella di Carsen, tutta incentrata sulla diva Floria Tosca (in costumi da diva del cinema anni ’50) la cui vita si fonde con la finzione, divenendo teatro nel teatro. Ecco che la vicenda viene ambientata a teatro appunto, in platea (primo atto), backstage (secondo atto, con tanto di segno “Vietato fumare”) e sul palco stesso (terzo atto). Il Te Deum è a livello scenografico un trionfo barocco dorato della chiesa cattolica, anch’essa teatro, dove Scarpia arriva a contemplare Floria Tosca divinizzata e glorificata come Madonna (colpo d’occhio notevole a chiusura del primo atto). Nel secondo atto Tosca dopo essersi svestita fingendo di sedurre Scarpia e rivestita dopo l’uccisione, depone sul corpo insanguinato una rosa donatale da uno dei suoi fan. Al termine del terzo atto la prima donna che ha vissuto per il teatro dopo aver esclamato “Oh Scarpia! Davanti a Dio”, si getta dal palcoscenico quasi alla ricerca della gloria definitiva, ma con la morte, di fatto, pone brutalmente fine a questo tutt’uno indistinguibile tra realtà e finzione. La regia di Carsen, con alcuni limiti, ha comunque il pregio di non prevaricare né sulla storia (al netto di qualche incoerenza inevitabile visto l’impianto), né sulle intenzioni del canto e in questo senso le star in scena hanno avuto man libera di esprimersi al meglio con il canto. Efficace l’uso delle luci, inclusi occhi di bue molto teatrali, curate da Davy Cunningham.
Al termine applausi al cardiopalma, meritatissimi, per tutto il cast e per Noseda. In sala e all’uscita si respirava l’entusiasmo tipico delle grandi e indimenticabili serate a teatro che neanche il freddo glaciale di Zurigo è riuscito a spegnere.

















 
 
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