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L'Ape Musicale, 19 Agosto 2021 |
di Irina Sorokina |
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Konzert, Arena di Verona, 17. August 2021
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Nella notte areniana, un delirio |
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Grande, meritato successo per il galà che ha visto Jonas Kaufmann
debuttare all'Arena di Verona al fianco di Martina Serafin. Tuttavia, i
grandi pregi dell'artista lasciano sempre spazio a qualche legittima
discussione. |
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Verona, 17 agosto 2021 - Qualcuno si meraviglierà leggendo il titolo del
nostro reportage. Poche ore sono passate dal momento della conclusione
dell'evento più attraente delle ultime settimane dell’inedita, ma efficace
stagione dell’Arena di Verona: Jonas Kaufmann Gala Event (così suona il suo
nome esatto). Tutto esaurito ovviamente. L’acclamato tenore bavarese, al
debutto in Arena, affiancato dal soprano austriaco Martina Serafin e
accompagnato dall’orchestra della Fondazione veronese guidata da Jochen
Rieder ha letteralmente stregato gli spettatori che continuavano a premiarlo
con applausi generosi, indugiavano nel lasciare l’anfiteatro, discutevano e
gesticolavano.
Il nutrito programma conteneva brani celebri del
repertorio tedesco (Lohengrin e Die Walküre) e italiano (La forza del
destino, Macbeth, Manon Lescaut, Andrea Chénier). La quantità di brani
italiano ha superato alla grande quella dei tedeschi, scelta comprensibile.
Siamo in Italia e in Arena viene un pubblico più vasto, desideroso di belle
melodie segnate da passione sfrenata. E così è stato.
Un programma
ben costruito e un inizio non alla grande, ma c’era da aspettarselo.
L’orchestra areniana non vanta una frequentazione sufficiente del repertorio
wagneriano e i due brani d’apertura, preludi del terzo atto di Lohengrin e
di Die Walküre, hanno rivelato non poche difficoltà, tra cui l’insicurezza
generale e il mancato equilibrio tra i gruppi di strumenti, nonostante la
direzione sapiente e raffinata di Jochen Rieder. Jonas Kaufmann ha fatto il
suo ingresso accompagnato dall’entusiasmo del pubblico; lui e Martina
Serafin hanno eseguito scena terza e finale del primo atto di Die Walküre.
Poco ha importato il fatto che fosse un'esecuzione in forma di concerto, i
due cantanti sono calati perfettamente nei panni di Siegmund e Sieglinde,
confermando la loro grande reputazione di interpreti wagneriani. Il tenore
si è distinto per la lucentezza e la morbidezza del suono, per la dizione
nitida e il controllo dei fiati impeccabile senza parlare del fraseggio in
cui, sembra, ha raggiunto le altre vette. Non è stata da meno Martina
Serafin, una partner attenta, dalla voce solare e sensuale.
Appena il
terreno pericoloso dell’opera wagneriana è stato abbandonato, tutto è
cambiato in meglio. Finalmente al proprio agio, l’orchestra della Fondazione
Arena è sembrata un’altra, eppure i professori erano gli stessi e lo stesso
era il direttore. Perfetta l’esecuzione della Sinfonia della Forza del
destino, in cui gli strumentisti hanno mostrato una conoscenza così profonda
del materiale che hanno messo quasi da parte il maestro Rieder, il quale
poteva limitarsi del battere il tempo: velocità impeccabili, dinamiche
giuste e armonia celestiale tra i gruppi. Molto bene anche il celebre
Intermezzo da Manon Lescaut, dallo spirito fragile ed ermetico trasmesso
perfettamente anche grazie al gesto chiaro e semplice del Maestro Rieder.
“La vita è un inferno all’infelice”, sempre dalla Forza del destino ha
segnato l’inizio di una vera parata dei brani di successo che andava in un
continuo crescendo. L’aria di Don Alvaro è di una difficoltà mostruosa e
pochi nella storia dell’opera hanno saputo interpretarla in modo
convincente. Tra loro, senza dubbio, Jonas Kaufmann, che è riuscito a
trasmettere in pieno il dolore straziante del personaggio giocando su una
sottigliezza inaudita del fraseggio, chiaroscuri e pianissimi estremamente
raffinati. Il tenore bavarese è stato sostenuto alla grande dall’orchestra
areniana (segnaliamo il clarinetto, ai limiti dell’espressività) che nelle
mani del Maestro Rieder ha suonato con una grande sensibilità rispettando
anche “i sussurri” iniziali del cantante.
Dopo Don Alvaro, Andrea
Chénier è un altro personaggio “bello e dannato” che calza a pennello al
carismatico tenore tedesco, che nell’Improvviso ha raggiunto vette
d’interpretazione. C’è stato tutto, davvero tutto: spirito eroico, slancio
nobile, declamato pensato ai minimi dettagli. Quel che è mancato, è stato un
giusto squillo che, purtroppo, non fa parte delle fantastiche doti ricevute
da Kaufmann dalla natura, tuttavia l’ovazione è stata pienamente meritata.
Martina Serafin è ben nota al pubblico italiano che negli ultimi anni ha
potuto ascoltarla in La Dama di picche al Comunale di Bologna, Manon Lescaut
alla Fenice di Venezia, Tosca in Arena di Verona e al Municipale Giuseppe
Verdi di Salerno; abbiamo nominato solo alcune delle sue esibizioni. La
cantante austriaca è un raro esempio di armonia tra una spiccata
personalità, un fisico splendido, una bella voce piena e solida, una grande
tecnica, una raffinata musicalità. Si muove con una grande disinvoltura e
non rivela una minima tensione sul palcoscenico; da sempre il suo problema,
però, sono gli acuti non perfettamente focalizzati. Il suo primo assolo nel
gala areniano è stato “Nel dì della vittoria… Vieni! T’affretta!” da Macbeth
verdiano. Dopo alcuni anni abbiamo trovato la sua voce un po’ affievolita,
ma la classe, la naturalezza e la versatilità della Serafin sono rimaste
immutate. Diremmo che fosse troppo bella per il ruolo della diabolica Lady
come la sua voce troppo lucente per la parte; ne è venuta fuori una sposa di
Macbeth inaspettatamente sofisticata; purtroppo, non sono mancati alcuni
acuti problematici e a tratti i colori opachi.
Molto meglio è stata
“La mamma morta” da Andrea Chénier; il soprano ha vestito con semplicità
disarmante i panni di Maddalena, convincente nei sussurri come negli slanci
lirici. Ha iniziato quasi con la gola chiusa, seguito delicatamente tutti i
passaggi tra il declamato e le frasi larghe per arrivare ad un estatico
“Vivi ancora, io son la vita” e ha fornito un finale formidabile premiato da
grandi applausi.
Dopo “Un dì all’azzurro spazio” e “La mamma morta”
era logico che saremmo arrivati ad duetto “Vicino a te s’acqueta”, una perla
di Andrea Chénier e dell’intera produzione giordaniana, intonata dai due
artisti con grande entusiasmo e affiatamento sotto ogni punto di vista.
Naturalmente, non finiva qui, il pubblico scaldato aspettava qualche
bis, e Kaufmann e la Serafin sono stati estremamente generosi, non si sono
limitati delle briciole, ma hanno offerto un piatto succulento: ben sette
pezzi. Una decisione saggia, non puntare esclusivamente alle grandi pagine
tenorili quali “Nessun dorma” e “E lucevan le stelle”, ma alleggerire
l’atmosfera e regalare dei momenti di pura gioia con Mattinata di
Leoncavallo e Non ti scordar di me di Bixio da parte di Kaufmann per poi
passare a due perle dell’operetta viennese, “Meine Lippen, sie küssen so
Heiß” da Giuditta lehariana cantata da una Serafin focosa e il celebre
duetto da Die lustige Witwe in cui due protagonisti della serata hanno
deliziato il pubblico con un legato incantevole e dai passi di valzer. Il
tenore bavarese ha eseguito anche Ombra di nube, un brano di Licinio Refice.
Il successo grandioso, ma rimangono alcuni se e no, pure sapendo che
l’armata infinita dei fan del tenore tedesco potrebbe insorgere. L’altra
sera abbiamo avuto fortuna di assistere ad un grande evento di altissima
caratura musicale e teatrale nonostante l’assenza di scene e di costumi, con
il video design firmato di D’Wok. Il “tenorissimo” Jonas Kaufmann ha saputo
portare il pubblico al delirio, ma i dubbi riguardanti la sua arte non si
risolvono mai. L’indiscusso interprete del repertorio wagneriano, punta
molto anche su quello italiano, in un’intervista di più di dieci anni fa
rilasciata ad Alberto Mattioli ammise che da sempre avesse sognato di
cantare in Andrea Chénier e Cavalleria rusticana. Dopo l’uscita di scena di
Tre Tenori (Domingo si improvvisa baritono ormai) il vuoto non è stato
colmato, il pubblico perennemente affamato è in cerca di un vero eroe.
Bellezza e carisma, intelletto e musicalità, fraseggio e sfumature sono le
carte principali che gioca Jonas Kaufmann. Mi ricordo la discussione di una
decina di anni fa sorta tra i melomani russi che si facevano la domanda:
sarà possibile riconoscere la voce di Kaufmann senza annuncio? La maggior
parte di loro e anche dei critici arrivò ad un rispettoso “no”. La voce di
Kaufmann per sé è poco interessante, nel centro suona come baritono,
l’emissione è poco ortodossa, non mancano suoni gutturali e addirittura
strani e gli acuti non del tutto riusciti. Il grande artista compensa queste
mancanze a modo suo: bellissimo uomo e attore consumato, disegna i
personaggi incredibilmente vivi che entusiasmano il pubblico, fraseggia nel
modo sofisticato ed è in continua ricerca dei colori. Ecco come garantisce
un delirio felice allo spettatore. Gli siamo estremamente grati per le
emozioni regalate, ma il vero tenore è un’altra cosa. Lo sentiremo mai nel
futuro, un vero tenore? Una buona domanda.
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