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L'ape musicale, 13 Marzo 2015 |
di Giovanni Chiodi |
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Verdi: Aida, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Rom, 27. Februar 2015
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L'essenza di Aida |
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Antonio Pappano offre una lettura tesa, serrata, accesa, potente,
scandita nel ritmo, ma nello stesso tempo attenta a colori, sfumature,
contrasti. Ben gli risponde il Radamès di Jonas Kaufmann, in stato di
grazia. L'Aida dell'Accademia di Santa Cecilia non delude le - altissime -
aspettative nonostante qualche carenza della protagonista. |
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ROMA, 27 febbraio 2015 - L’Aida di Sir Antonio
Pappano, con i complessi di Santa Cecilia, il debutto di Jonas Kaufmann come
Radamès e un cast di altri nomi ragguardevoli si annunciava da sé come un
evento di interesse globale. Un concerto nato come appendice alle sessioni
di registrazione da poco concluse: una sola serata, una sola esecuzione
pubblica, davanti a una sala pienissima e partecipe.
Fin dalle prime
battute, con quell’avvio morbidissimo degli archi, si percepiva tutto il
lavoro fatto dal direttore con l’orchestra. Un’impressione che ha trovato
via via larghe conferme lungo tutto l’arco della serata: il senso arcano
della scena del tempio, il brio delle danze, l’insinuante doppiezza del
duetto Aida-Amneris, la magniloquenza del trionfo, le sonorità ovattate e
misteriose del duetto del Nilo, la tensione cupa nella scena del giudizio.
L’orchestra ha risposto in modo superlativo, in termini di nitore e
compattezza di suono, di flessibilità e duttilità di fraseggio. Una
direzione tesa, serrata, accesa, potente, scandita nel ritmo, ma nello
stesso tempo attenta a colori, sfumature, contrasti. Arcate di suono
opulente, ma anche accompagnamenti screziati, condotti con una gamma
dinamica tra le più ampie. È un’Aida incentrata sul triangolo amoroso, ma
che non rinuncia a collocare i protagonisti in un contesto onnipresente, che
li opprime e li schiaccia: la fusione dei due elementi è stato l’apice del
virtuosismo di Pappano. Le prime parti dell’orchestra, poi, si sono rivelate
di un’importanza essenziale per sostenere questa prospettiva: sentire, ad
esempio, il clarinetto di Alessandro Carbonare, l’oboe di Paolo Pollastri,
il flauto di Andrea Oliva (solo per citare alcuni maestri) entrare in
dialogo con le voci creava un’atmosfera del tutto singolare. Si aggiunga il
forte risalto dato agli interventi del coro, che ha cantato magnificamente.
Quanto ai solisti, le sorprese maggiori le ha riservate Jonas Kaufmann,
fin dall’inizio, con una esecuzione splendida di Celeste Aida, tutta sospesa
sul filo di rasoio del chiaroscuro, con una raffica di piani ben sostenuti e
conclusa con una audace smorzatura in pianissimo. Il tutto con il supporto
di un concertatore disponibile ad abbandonarsi al canto. Un ritratto
sfaccettato, dove ha contato molto anche l’altro volto del guerriero,
specialmente nel terzo atto, culminando in un quarto atto finemente giocato
sui toni della malinconia, della rassegnazione, del rimpianto.
Il
risultato sarebbe stato ancora più appagante se, accanto a lui, avessimo
avuto una protagonista altrettanto sicura. Anja Harteros, invece, fa
benissimo a non costruire la sua Aida sui massi di granito e a insistere su
un canto il più possibile interiorizzato. Ma quando la voce deve salire,
necessitando di una colonna di suono salda e omogenea fino agli acuti,
incominciano i problemi. Perciò una chiusa dei Cieli azzurri francamente non
all’altezza, qualche acuto fisso e non ben intonato anche nel successivo
duetto, e una chiusa dell’opera dove i piani non erano tutti perfettamente
proiettati.
Quanto al resto del cast, Ludovic Tézier ha inteso
conferire più nobiltà del consueto ad Amonasro. Ekaterina Semenchuk,
viceversa, ha mirato spavalda a un modello di Amneris molto diretto e
passionale, a senso unico, procedendo diritta verso la meta senza tante
deviazioni e cedimenti, paga di esibire un materiale notevole, e con qualche
nota bassa gutturale di troppo. Spaesato Erwin Schrott nella parte di
Ramfis, sia per il legato non ineccepibile sia per l‘accento ordinario. |
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