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Città Nuova, 28-02-2015
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di Mario Dal Bello |
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Verdi: Aida, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Rom, 27. Februar 2015
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Aida: un grande evento |
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Rappresentata in forma di concerto al Parco della Musica di Roma. La
vena melodica verdiana è protagonista assoluta |
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A volte si assiste a quello che giustamente, e senza la solita retorica
giornalistica, è veramente un fatto straordinario, cioè un evento d’arte.
Ieri sera al Parco della Musica in Roma, l’Accademia Santa Cecilia ha
presentato l’Aida verdiana in forma di concerto. Senza scene, costumi, senza
i trionfi dell’Arena di Verona o dei teatri lirici normali, senza insomma il
sussidio spettacolare che fa dell’opera un grande prodotto
nazional-popolare. Questa volta a dettare legge è stata la sola musica, per
fortuna. E si è visto la potenza evocativa, l’icasticità drammatica, la vena
melodica verdiana torrentizia fare da protagonista assoluta: una volta tanto
la musica diceva tutto – come spesso in Verdi – senza bisogno di orpelli.
Merito in gran parte di un coro così musicale che oggi è rarissimo
ascoltare tanto compatto, scorrevole, tonante e leggero; di una orchestra al
livello massimo come potenza di suono, capacità di fraseggio, limpidezza e
colori: memorabili i violini primi nel finale e nell’aria “Celeste Aida”, i
legni e gli ottoni (un po’ meno le trombe della Marcia trionfale, per quanto
esatte). Memorabile la lezione direttoriale di Antonio Pappano, eccelso
interprete verdiano, uomo dal senso teatrale innato, capace di far cantare
l’orchestra in lunghe melodie ‒ i violoncelli dell’Atto secondo ‒, ma anche
nella tremenda scena “del giudizio” dell’ultimo atto, tra scoppi furibondi
che preludono all’Otello e sottigliezze paradisiache nel duetto finale.
Sempre il canto verdiano, affettuoso, lirico ed eroico ha visto
nell’orchestra un’autentica protagonista, sotto una bacchetta precisa negli
stacchi, capace di “rallentando” delicatissimi e di lasciar “cantare i
cantanti”.
A questo proposito, star è stato Jonas Kaufmann, il
miglior Radames forse oggi in circolazione, anche il miglior tenore
lirico-drammatico attuale. Alla pronuncia perfetta in italiano, il tenore ha
regalato una “Celeste Aida” da ricordare, con un finale in “pianissimo”,
filato sopra i violini, e lunghissimo, etereo; ma anche squilli tremendi,
languori soffici, con una estensione vocale amplissima, una forza di
emissione grande ed una passione controllata ma scenicamente importante.
Il Re di Marco Spotti ha regalato una vocalità cantabile profonda, calda
e possente, come l’Amonasro di Ludovic Tézier, mentre il Ramfis di Erwin
Schrott, ha talora esagerato nelle forzature, ma il colore vocale è sempre
bello. In una parte spossante come Aida, Anja Arteros ha alternato momenti
molto belli, di forza e di spasimo, a qualche asperità negli acuti,
bellissimi tuttavia quando li prende con delicatezza, mentre l’Amneris di
Ekaterina Semenchuk brillava come potenza sonora.
Su tutto Pappano ha
steso la sua gran ombra direttoriale sanguigna e romantica, a far emerge in
Aida un affresco di popolo, un contrasto sociale e la gelosia come motore
dei rapporti umani in cui Verdi è grandissimo. Una Aida rivelata per quello
che è: equilibrio perfetto fra musica e parola, tra passato e futuro, tra
destino universale e storie particolari sotto un fuoco melodico
impressionate che ha bruciato dall’inizio alla fine nel segno della
chiarezza ‒ straordinaria la “distinzione” fra gli strumenti – tipica di
Pappano e di Verdi. Ovazioni a non finire.
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