L'opera, maggio 2013
Di Mario Hamlet-Metz
 
Wagner: Parsifal, Metropolitan Opera, Februar 2013

Potere, colpa e redenzione
 
New York: Trio eclettico al Met, Wagner, Verdi e Zandonai; un bellissimo nuovo Parsial, con Jonas Kaufmann protagonista die levatura storia, [la ripresa di Don Carlo e Francesca da Rimini con Eva-Maria Westbroek]
 
La vecchia produzione «verista» del Parsifal wagneriano del binomio Shenk/Schneider-Siemssen (1991) è stata sostituita al Metropolitan dalla nuova produzione «simbolica» firmata da Francois Girard (regia), Michael Levine (scenografia), Thibault Vancraenenbroeck (costumi), David Finn (luci) e Peter Flaherty (disegno video). In co-produzione con l'Opera National de Lyon e la Canadian Opera Company, la prima al Met ha avuto luogo il 15 Febbraio scorso ed era ricevuta strepitosamente da un pubblico che, con le solite eccezioni di un gruppetto di «tradizionalisti» premiava lo spettacolo con un'interminabile ovazione.

Ultimamente, mi sono lamentato in queste recensioni di New York del fatto che tanti registi sentono la necessità di drammatizzare la sinfonia, sia per creare un effetto comico che per spiegare o anticipare certi elementi dell'azione che sta per iniziarsi. Anche nel nuovo Parsifal si era fatto così, ma questa volta non disturbava, anzi, secondo me aveva senso perché non solo dava al dramma una voluta universalità ma creava un rapporto intimo tra palcoscenico e sala, Mi spiego. Con le prime note, si vedeva, dietro il velo/sipario, il riflesso d'un teatro dove uomini e donne di uniforme eleganza (bianco e nero) stavano seduti guardando la sala. Poco a poco, gli uomini si spogliavano e rimanevano in camicia e pantaloni, ridistribuivano le sedie per formare un circolo e le donne si velavano e si mettevano in piedi, dal lato opposto, testimoni lontane dalla vicenda. Quando si alzava sipario, la separazione dei sessi era stabilita e gli uo-mini/cavalieri occupavano H loro posto nella «tavola rotonda», pronti ad iniziare il processo di cura/redenzione dell'infelice Amfortas, che diventava personaggio centrale.

Niente santuario di Monsalvat, niente castello magico di Klingsor, niente colomba. Le fanciulle-fiore venivano sostituite da un esercito di amazzoni provviste di lance, a movimenti coreografati stupendamente da Carolyn Choa. Qui eravamo trasportati in una terra mitica, al di là del tempo. Terra mitica dove dominavano il grigio, il nero, il rosso, vale a dire i colori dell'impotenza, dell'incertezza, della disperazione, dell'angoscia, del sangue. bianco appariva, sporadicamente per dare un raggio di speranza ma spariva subito. Nel primo e nel terzo atto, vedevamo una specie di paesaggio agreste, lunare, diviso in due da un taglio (fiume) spesso rosso. In fondo, si proiettavano nuvole, oceani, pianeti, oggetti irriconoscibili (carne umana?). Nell'atto secondo, il dominio del mostruoso Klingsor consisteva di mura a mo' di precipizi, che sudavano sangue (proiezioni) con una fessura in mezzo, rosso intenso, (interpretazione ad libitum) e un Klingsor in costume di business tutto macchiato di rosso (di nuovo, interpretazione ad libitum). In questa atmosfera piuttosto inospitale, irreale, simbolica, ci sembrava che gli aspetti trascendentali, cioè la spiritualità predominante sia nel dramma e anzitutto nella musica si esaltassero meravigliosamente. Impressionava questo Parsifal, che entrava in scena come un ragazzo scontroso, ignorante ma che incoscientemente ci faceva vedere che sotto l'apparente natura selvatica e abbastanza arrogante, si nascondeva un'innata nobiltà. Impressionava ugualmente il carattere introspettivo dell'eroe e la sua lenta ma sicura maturazione, che gli faceva finalmente capire la sua missione, resistendo alle tentazioni carnali e riconquistando la Sacra Lancia. Il «puro folle», reso sapiente per la pietà, diventava Re, battezzava la pentita Kundry, e assumeva con convinzione la parte di Redentore. Nonostante il finale ottimista (interazione tra i due sessi, cura di Amfortas, morte felice di Titurel e Kundry, Graal e Sacra Lancia in mani di degni custodi), il paesaggio incombente non cambiava, neanche per il momento in cui Parsifal rimaneva stupito per la bellezza della natura....forse l'incanto del Venerdì Santo al quale si riferiva Gurnemanz era anch'esso un miraggio.

I cast di questa performance era niente meno che straordinario e consisteva d'un gruppo di cantanti/attori che portavano quest'ultimo capolavoro wagneriano ad un livello di assoluta perfezione.

La voce bella, brunita, baritonale, di Jonas Kaufmann, assieme alla sua ottima comprensione del testo e alle sue virtù come interprete facevano i lui un Parsifal ideale sotto tutti punti di vista. Di particolare merito erano, econdo me, due sue scene: la prima, dopo il bacio di Kundry, quando si accorgeva della sua missione, cioè del suo dovere futuro di «redentore» (il folle diventa sapiente); la seconda, alla fine, quando già maturo, non si esaltava estemamente davanti alla responsabilità enorme a lui assegnata, ma l'accettava con solenne dignità, interiorizzando perfino questo momento di gioia infinita, Il tenore del momento ci offriva un Parsifal storico. Kaufmann era in formidabile compagnia questa volta. Il Gurnemanz di René Pape era nobile, pieno di sottigliezze semantiche che davano poetica profondità e senso al testo, attraverso il fraseggio chiaro ed incisivo che veniva da una voce voluminosa e ricca di armonici. Anche la sua maturazione (cambio d'opinione e d'atteggiamento rispetto a Parsifal) era ben messa in evidenza. Peter Mattei, ci lasciava veramente sorpresi, con la sua stupenda interpretazione vocale e teatrale della sofferenza morale e fisica di Amfortas. Arrivato al punto in cui non ce la faceva più, nel primo atto, l'espressione di massimo dolore era dawero commovente.

Il bel e voluminoso timbro di soprano drammatico di Kataryna Dalayman era utilizzato con intelligenza. La cantante sapeva quando accentare con forza e intenzione e sapeva anche ammorbidire il suono quando ci voleva. Mancava solo a questa Kundry un po' più di sensualità nella seduzione di Parsifal.

Di timbro nasale e un po' roccioso, Evgeny Nikitin ci offriva un Klingsor appositamente esagerato nella sua tirannica inumanità. Nikitin trasmetteva benissimo l'ignobiltà di questo personaggio che, per non essere stato accettato tra i nobili cavalieri, consacrava la sua vita alla vendetta e alla distruzione. Un sonoro Runy Brattaberg era l'autoritario ma, per la maggior parte, infelice Titurel.

Il resto dell'eccellente cast era: Mark Showalter e Ryan Speedo Green (Primo e Secondo Cavaliere del Graal), Jennifer Forny, Lauren McNeese e Andrew Stenson, Mario Chang (Primo, Secondo, Terzo e Quarto Scudiero) Maria Zifchak (Una voce) e Kiera Duffy, Lei Xu, Irene Roberts, Haeran Hong, Katherine Whyte e Heather Johnson (Donzelle-Fiore).

Sul podio, Daniele Gatti dirigeva a memoria, e pur con l'eccezione della scelta frequente di tempi troppo lenti, dimostrava la sua perfetta comprensione del senso di questa musica, in cui si esalta anzitutto la spiritualità.


















 
 
  www.jkaufmann.info back top