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L'opera, ottobre 2012 |
di Nicola Salmoiraghi
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Verdi: Messa da Requiem, Milano, 27. August 2012
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Quando l'uomo parla don Dio
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Milano: magnifica esecuzione della Messa da Requiem verdiana alla
Scala, con uno straordinario Daniel Barenboim sul podio e un superbo
quartetto vocale composto da Anja Harteros, Elina Garanca, Jonas Kaufmann e
René Pape
Un regalo straordinario, quello fatto da Daniel
Barenboim, dall'Orchestra e Coro della Scala, e da un eccezionale quartetto
vocale, al pubblico milanese che ha riempito il Piermarini in ogni ordine
di posto come nelle migliori occasioni, in una serata ancora pienamente
estiva. Preludio alle esecuzioni ai due prestigiosi Festival di Lucerna e
Salisburgo, ecco un'indimenticabile esecuzione della verdiana Messa da
Requiem, con ogni probabilità la più travolgente ed emozionante da noi
ascoltata dal vivo. Daniel Barenboim, carismatico protagonista della serata,
ha condotto i complessi scaligeri (magnifico il suono, potente e rotondo, ma
all'occorrenza quasi un impalpabile sussurro, dell'Orchestra, in forma
tecnica strepitosa e che dire dell'inarrivabile Coro, un duttilissimo
strumento a sé, con la forza di un giudizio universale sonoro nel «Dies
irae» e altrettanto capace di un caleidoscopio di nuances infinite, condotto
con mano magistrale da Bruno Casoni) verso una lettura del capolavoro sacro
- ma quanto meravigliosamente e dolorosamente «terreno» - di Verdi di
assoluta, compiuta bellezza. E una lettura per certi versi inedita. Non
avevamo mai sentito tali colori, tali prodigiosi accenti, tali sorprendenti,
inquieti arabeschi degli archi. Una visione, quella di Barenboim,
profondamente «europea», legata alla sviluppo musicale del Vecchio
Continente a cavallo tra Otto e Novecento; ascolti Bruckner, ascolti Mahler,
in questo suo Verdi, ma ascolti soprattutto Verdi, un Verdi profondamente
umano, piagato, percorso da aneliti di sofferta speranza. E trovi noi, con
la nostra pochezza e al medesimo tempo con la nostra grandezza, immagini
riflesse di qualcosa di inafferrabile. Una cattedrale di suono che prende
alla gola, per una delle più belle prove che il maestro Barenboim abbia
offerto sino ad ora alla Scala.
Entusiasmanti i solisti. Si potrà
forse dire che ad Anja Harteros manchi un po' di «polpa» nel grave per la
pagina finale del «Libera me»? Poco importa, perché la cantante è di
primissimo livello. La voce è bella, personale, luminosa, con un registro
acuto svettante ed è capace di paradisiaci pianissimi. La fraseggiatrice è
sempre attenta ed intensa, l'artista maiuscola. Lo stesso discorso vale per
la sfolgorante Elina Garanca, al suo debutto nel «pezzo». Timbro
mezzosopranile di suprema eleganza, morbido e vellutato, omogeneo in tutta
la gamma, tanto timbrato nel setoso registro grave che nello sfolgorante
acuto, passando per un centro ambrato e saldissimo. Musicista di classe
eccelsa, palpitante ed espressiva, Elina Garanca ha vinto e convinto ad ogni
suo intervento.
Superlativo, senza mezzi termini, Jonas
Kaufmann. Con il suo particolare timbro brunito, su cui si innestano acuti
che hanno la potenza e la penetrazione di una folgore, ha interpretato
pagine come l'«Ingemisco» e l'«Hostias» con un celestiale trascolorare di
sfumature e pianissimi, cui - parrebbe una contraddizione, non lo è - non
veniva mai a mancare l'esacerbata virilità del canto. «Quando l'uomo parla
con dío» commentava una signora entusiasta di fronte a noi al termine del
Requiem. È definizione che ci sentiamo di applicare all'interpretazione di
Kaufmann. Non nascondiamoci dietro un dito: meglio di lui, oggi, nessuno.
René Pape, in grande spolvero, ha unito la solida carnosità
del suo bel timbro di basso, dalle autorevolissime risonanze, ad una scavata
eloquenza d'interprete, ricorrendo spesso al canto a fiordi labbro, con
pianissimi di efficace rilevanza drammatica. Un altro mirabile artista che
ha coronato un superbo ensemble vocale. Commozione e successo trionfale. Non
poteva essere diversamente. Serate così sono rare.
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