affaritaliani.libero.it, 8 dicembre 2012
Di Francesco Bogliari
 
Wagner: Lohengrin, Teatro alla Scala, 7. Dezember 2012

Lo strepitoso Lohengrin scaligero
 
 
Non sono un musicologo professionista anche se da giovane sono andato vicino a diventarlo. Da studente liceale recensivo su La Nazione i concerti di classica in Versilia – dove vivevo - e il critico musicale del quotidiano fiorentino, il grande Leonardo Pinzauti, voleva spingermi verso quella carriera. Poi feci altre scelte ed entrai nell’editoria e nel giornalismo, ma per occuparmi di cose differenti. Premessa doverosa per dire che il mio commento al Lohengrin scaligero di ieri sera è un contributo a metà tra passione e competenza, ovviamente più la prima che la seconda.

Senza paura di essere smentito affermo che:

si tratta di uno dei più bei spettacoli d’opera a mia memoria (lo affianco al Simon Boccanegra e alle Nozze di Figaro di Abbado-Strehler-Frigerio, tanto per dire); la regia psicanalitica di Guth dà una lettura antieroica molto interessante di tutti i personaggi, in primis il cavaliere del Gral e la giovane Elsa di Brabante: di solito il primo arriva in scena, stentoreo, con la corazza argentata e la spada sguainata, qui giace al suolo scalzo e tremante, smarrito; la seconda non è solo una soave fanciulla sognante, è un’altra anima smarrita. Due povere creature pronte per il lettino di Freud. Paolo Isotta del Corriere non è d’accordo, ce ne faremo una ragione; amo le scenografie minimaliste (mai assisterei a un’Aida con gli elefanti, tanto per essere chiari…) e questa lo è; unica perplessità lo stagno finale nelle cui acque i protagonisti affondano i piedi (sarà stata questa la causa dell’influenza delle due protagoniste titolari?...); cast vocale stellare, a cominciare da un supremo Jonas Kaufmann (è il vero, unico erede di Domingo), proseguendo per due eccezionali protagoniste femminili (Annette Dash-Elsa e Evelyn Herlitzius-Ortrud), fino a un René Pape che oggi non ha uguali nelle parti da basso (profondità, pastosità e morbidezza, qualità rare da trovare tutte insieme); di livello anche i due protagonisti minori (minori per modo di dire, le loro parti musicali sono impervie), Telramund e l’Araldo.

Superbo il coro diretto da Casoni, potrebbe stare senza tèma sul palco di Bayreuth; wagneriana fin nel midollo la verdiana orchestra della Scala, condotta da un Barenboim in stato di grazia. (Diciamocelo in silenzio: la polemica Verdi-Wagner è una grande bischerata, sono due giganti dell’arte di tutti i tempi, basta qui).

Che dire di più? Segnalare che il teatro era pieno di “imbucati” di nome, censo, rango e danè, ospiti degli sponsor, probabilmente tutti a guardar di sottecchi l’orologio per contare i minuti che li separavano dalla fine di tanto eroico sacrifizio, ripagato però dalle telecamere che nel foyer li inquadravano, azzimati cavalieri con le loro azzimate dame?

Ah, dimenticavo, l’Inno di Mameli. Non so come siano andate veramente le cose, se Monti o Passera abbiano salvato il patrio onore “costingendo” Barenboim a recuperarlo per il rotto della cuffia, ma è stata una fortuna che l’allegra marcetta sia stata suonata alla fine. L’avessero fatto all’inizio, con che concentrazione avremmo potuto ascoltare le prime battute del preludio, col pianissimo dei violini che introducono in una dimensione trascendente? Grazie Maestro Barenboim, anche per questo atto di civiltà musicale.













 
 
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