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ilVelino/AGV, 07/12/2012 |
Hans Sachs |
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Wagner: Lohengrin, Teatro alla Scala, 7. Dezember 2012
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IL ‘LOHENGRIN’ ENTUSIASMA LA SCALA
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Daniel Barenboim ha appena abbassato la bacchetta ed è in corso un vero
diluvio di applausi e ovazioni. Coloro (come il vostro chroniqueur) che
hanno potuto assistere alla anteprima del 4 dicembre temevano un’accoglienza
più fredda, soprattutto a ragione di una drammaturgia e di un regia molto
innovative in cui per di più solo nel terzo atto si svela l’accento sulla
nevrosi e la psicoanalisi e lo spostamento d’epoca del lavoro. Inoltre, le
due soprano scritturate (Ann Peterson, che ha cantato il 4 dicembre, e Anja
Harteros) erano ambedue ammalate. Provvidenzialmente è giunta dalla Germania
Annette Dasch che ha dovuto metabolizzare in poche ore la regia di Claus
Guth; la sua Elsa è apparsa ancora più nevrotica di quella di Ann Peterson.
Nelle versioni tradizionali, 'Lohengrin' è l’angelo custode del Santo Graal,
il cavaliere del cigno caro alle leggende medievali dei Paesi Bassi. Sceso
sulla terra, egli cerca una donna che sappia apprezzarlo semplicemente per
la sua umanità, e la troverà in Elsa di Brabante. Assurgerà a incarnazione
della speranza negata nel suo conflitto con Federico di Telramondo, conte di
Brabante, cavaliere in lotta per l’onore. Una fiaba dal finale tragico, dove
la felicità lascia il posto alla malinconia della rinuncia e alla vaghezza
del sogno, che a tratti assume le fattezze di un dramma storico. Claus Guth
ha detto e ripetuto di non essere "interessato all’immagine del cigno in sé,
non è così importante: quel che conta è il fratello di Elsa, che si nasconde
dietro quell’immagine, e sicuramente questo aspetto verrà sviluppato".
Inoltre l’opera non sarà ambientata nel Medioevo ma ai tempi di Wagner:
"Sicuramente conta molto l’epoca in cui il compositore è vissuto, uno snodo
cruciale, in cui si entrava nel mondo moderno più o meno come lo conosciamo
oggi, anzi si ponevano le basi per quel sistema capitalistico-finanziario e
politico nelle cui propaggini, o meglio conseguenze, ci troviamo a vivere
oggi. Questo mi ha spinto a mettere in scena il 'Lohengrin' all’epoca di
Wagner, posta a sua volta in parallelo con i nostri giorni". Per Guth, la
chiave del 'Lohengrin' sta nei traumi infantili della protagonista femminile
dell'opera, Elsa. "Ho realizzato una sorta di background completo per questa
giovane donna e Elsa ha svelato una storia e una psicologia di estremo
interesse. Una ragazza rimasta orfana assai presto, che sente profondamente
questa perdita, subito acuita dalla nuova perdita del fratello, che la
scuote ulteriormente. Si aggiunge poi il comportamento ambiguo e
contraddittorio di Friedrich von Telramund, che prima si arroga il diritto
alla sua mano, poi le preferisce Ortrud. Mi sembra significativo - aggiunge
il regista - usare il potere dell’immaginazione per raccontare come Elsa
abbia dunque vissuto una vicenda precedente, prima dell’arrivo di Lohengrin,
dove ha anche sviluppato una sorta di ossessione per una ideale figura di
'salvatore’.
La regia ha certamente un buon fondamento poiché Wagner
scrisse e compose l’opera nel 1845-48 quando più era influenzato dal
socialismo anarchico di Bakunin. Nel primo atto, tuttavia, fa un certo
effetto vedere il cortile di casa Wagner e non le rive della Schelda ,
Enrico l’Uccellatore vestito come Moltke e Lohengrin come James Dean in La
Valle dell’Eden. Il significato psicologico e politico si svela man mano che
l’azione si dipana. Il grande merito lo ha la musica. Sin dalle prime
battute dell’ouverture, Barenboim dà un’interpretazione lenta, solenne,
quasi mistica del lavoro che fa risaltare ancora di più l’inizio ‘agitato’
del terzo atto (quando invece stringe i tempi per preparare la tragedia
finale). Sottolinea gli aspetti melodici del primo e del terzo atto rispetto
a quelli atonali di alcuni momenti del secondo. Jonas Kaufmann ha un
legato dolcissimo, un fraseggio da manuale e, nel ‘racconto’ finale, sale
lentamente dal ‘pianissimo’ all’acuto come ho ascoltato fare solo pochi
tenori. Unicamente Evelyn Herlitzius è alla sua altezza. Buona
Annette Dasch catapultata in questa prima. René Pape è un efficace Re
Enrico. Il ‘cattivo’ Federico Telramondo è un Tómas Tómasson ancora
vigorosi. Ottimo il coro scaligero guidato da Bruno Casoni.
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