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Corriere della Sera, 7 dicembre 2012 |
Pierluigi Panza |
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Wagner: Lohengrin, Teatro alla Scala, 7. Dezember 2012
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Applausi per 15 minuti : il «Lohengrin» trionfa
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MILANO - La musica di Wagner, la sostituzione in extremis del soprano
titolare, un piccolo «giallo» sulla mancata esecuzione dell'inno nazionale,
poi eseguito alla fine. La prima della Scala, quest'anno sotto la neve, ha
celebrato il «Lohengrin» di Wagner. Grandi applausi al termine, qualche
perplessità dei loggionisti sulla regia «troppo distante dal testo». Infine
un lancio di volantini sulla platea da parte di una sigla sindacale dei
lavoratori della Scala.
LA PARTENZA- Si parte senza inno di Mameli (è
vero che non c’è il presidente della Repubblica ma c’è quello del Consiglio)
e senza il soprano titolare. Sull’inno le interpretazione divergono
(Barenboim l’ha suonato anche il 4): forse un gesto di iperattenzione a
Napolitano, che ha recentemente inviato a Barenboim una lettera molto
gentile sul caso Verdi – Wagner. Quanto al soprano, nella notte è stata
chiamata Annette Dasch da Francoforte. Ha provato stamattina con il regista
Claus Guth. Lei con Kaufmann sono di certo una bella coppia di interpreti,
tra i più beautiful della scena artistica. Poco glamour nel foyer. Molti
ministri. Per alcuni di loro è la “prima” e ultima…
PRIMO ATTO - In
un claustrofobico cortile interno di un palazzo a ringhiera (omaggio persino
a tipologie lombarde), con belle colonnine di ghisa, il regista Claus Guth
ha ambientato il primo atto. Non siamo nell’alto Medioevo ma a metà
Ottocento, quando l’opera venne composta e quando vengono studiate per la
prima volta nevrosi e ossessioni. Il Lohengrin di oggi mette in scena la
lotta tra la coppia bianca e quella nera, Elsa («colei che viene sempre
abbandonata») contro Ortrud («colei che sa»), e ogni gesto, in scena, è
carico di simboli che rimandano a situazioni psicologiche. Il cavaliere del
cigno («colui che sempre abbandona») non è l’eroe salva Elsa e il Brabante
ma l’antieroe, tremebondo, scalzo per testimoniare il difficile legame con
la terra. E perde piume prima ancora di entrare in scena. Elsa è
ossessionata dal fantasma del fratello, del cui inesistente omicidio lei è
accusata. La musica, una delle più facili di Wagner, scivola via ben diretta
da Barenboim. Loro due, Jonas Kaufmann e la paracadutata nella notte Annette
Dasch, formano questa sera una delle coppie più belle dell’attuale panorama
della lirica. Lei è un po’ emozionata, catapultata in scena. Attenzione
all’inno: forse lo suonano adesso!
SECONDO ATTO - Il secondo atto
dell’opera wagneriana sembra un po’ verdiano: Elsa è ossessionata, divisa,
un po’ Traviata; Ortrud è nera e bramosa di potere come Lady Macbeth.
Intorno a loro c’è il nuovo mondo ottocentesco della borghesia e la vecchia
nobiltà (il re Heinrich). Anche Telramund (il sensibile) è lacerato intorno
al tavolo. Lohengrin si mette le scarpe, sembra aver istituito un legame con
la terra e si prepara al matrimonio. Già, ma qual è il suo nome? Da dove
viene? Guth, qui, mette sostanzialmente in scena una storia vera che molto
colpì Wagner: quella di Kaspar Hauser, un ragazzino che comparve dal nulla a
Norimberga e che visse tra il 1828 e il 1833 dicendo di essere figlio di un
cavaliere (venne ucciso). Applausi ma prima stanchezza tra il pubblico. Ora
si attende il coro di nozze, detto marcia nuziale, che è uno dei brani più
suonati ai matrimoni – insieme a quello di Felix Mendelssohn Bartholdy. Ma,
anticipo, non ci sarà sfilata: solo un coro dal fondo su fondo blu scuro,
senza personaggi in scena. Questo credo che creerà sconcerto delle signore e
delle aspiranti tali.
TERZO ATTO - Jonas Kaufmann e Anja Harteros
sono (come da didascalia) in campagna tra le spighe e le sterpaglie, anzi,
in uno stagno dove si bagnano i piedi. Siamo in pieno romanticismo,
apparentemente anche un po’ sdolcinato alla Al Bano – Romina Power. Ma pian
piano le parche annodano il filo: il pianoforte – simbolo permanente in
tutta l’opera – è rovesciato, l’acqua non battezza il matrimonio. Il dramma
è nell’aria e si consuma in una scena molto realistica: Lohengrin uccide a
bastonate Telramund che sprofonda tra le sterpaglie. Poi incomincia a
perdere le piume e si accascia al suolo, senza scomparire dalla scena ma
ormai assente, pura visione dell’ossessione di Elsa. Il cigno – che è il
fratello di Elsa creduto morto – allora riappare: è Ortrud che l’aveva
trasformato in cigno con un incantesimo. Sarà lui il difensore del Brabante.
La regia introspettiva, analitica di Guth ha, come al solito, un po’ diviso.
Per qualcuno è straordinaria, come per gli architetti Mario Bellini e Mario
Botta: «E' molto evocativa con un gran gioco di rimandi tra interno ed
esterno; una regia che lascia capire». «Bellissima per chi conosce l’opera»,
è anche secondo Carla Fracci, Roberto Bolle ed Eva Wagner, pronipote del
grande compositore. Ma ai loggionisti, ovviamente, la messa in scena non
entusiasma. «La scena non ha niente a che vedere con il testo». Qualcuno
risponde malinconico: «Ormai ci dobbiamo abituare a questi ministri
tedeschi». E, prima di andare a cena al Victoria, se la prendono con la
scena: «E’ colpa del terzo atto, recitato in acqua, se si sono ammalati
tutti». L’applausometro dice che è andata bene.
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