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Teatro.org |
Francesco Rapaccioni
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Puccini: Tosca, Milano, 22.Februar 2011
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Il volo di Tosca
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La notizia di cronaca è stata la decimazione del
cast per motivi di salute nelle prime due recite, al punto che la terza e la
quarta sono state le uniche con primo cast al completo: coda in biglietteria
e tutto esaurito in ogni recita, soprattutto per il divo Kaufmann. Lo
spettacolo è una coproduzione con Metropolitan Opera e Bayerische
Staatsoper; a New York e Monaco è già stato rappresentato.
La scena
di Richard Peduzzi ha come costante alti muri, spogli e claustrofobici. Nel
primo atto l'interno di Sant'Andrea della Valle diventa una struttura di
archeologia industriale, pareti smisurate di mattoni dove si aprono tre
“absidi” introdotte da arconi a tutto sesto che rendono piccolissime le
porte e finestre rettangolari, eccezion fatta per il finestrone senza vetri
sul fondo da cui entra luce quando Tosca è in scena. Palazzo Farnese è un
salotto con un paio di divani, qualche sedia e un tavolino e, di nuovo, una
grande finestra rettangolare sul fondo, qui coi vetri impolverati. La
terrazza di Castel Sant'Angelo è dominato dal vuoto oscuro, una struttura in
mattoni è sulla destra, verticalizzata in una torre cieca.
Gli spazi
sono sicuramente moderni, basti considerare le sedie a libretto, il pulpito
di acciaio come una impalcatura e le poltrone di design. Invece
rigorosamente napoleonici i costumi di Milena Canonero, poco appariscenti ma
curati nei particolari (l'anello di Scarpia sopra i guanti). Le luci di
Michael Bauer insistono sui protagonisti con l'occhio di bue, lasciando il
resto in penombra (atti primo e terzo) o nella luce (atto secondo).
La regia di Luc Bondy propone una lettura austera e minimalista che risulta
non particolarmente incisiva: Roma non c'è e l'epoca, così essenziale in
questo libretto, è relegata alla suggestione vaga dei costumi.
Il
sagrestano mette nell'acquasantiera acqua che ha nel secchio con cui pulisce
i pennelli del pittore. Il Te Deum è frontale, senza processione, con abiti
sfarzosissimi e una statua della Madonna: Scarpia fronteggia la Madonna
quasi con brama lussuriosa. Il secondo atto si apre con tre prostitute
coperte di veli e fiocchi per titillare i desideri erotici di Scarpia. Nel
finale d'atto Tosca, dopo avere ucciso Scarpia con numerose coltellate al
petto, sale sul davanzale, poi non scappa frettolosamente ma si allunga su
un divano, stringendo in mano il ventaglio della Attavanti, pensierosa. Nel
terzo atto Cavaradossi gioca a scacchi, mentre i soldati a carte. Tosca si
butta dalla torre rimanendo a mezz'aria, in volo, come in un fermo-immagine
cinematografico: ma le luci si sono spente troppo presto e la maggior parte
del pubblico non ha visto e neppure intuito il finale voluto dal regista.
Celebratissimo e atteso, Omer Meir Wellber ha confermato le aspettative,
anzi le ha superate: se si dovesse condensare in una sola parola la sua
lettura musicale dell'opera direi “impressionante”. Il giovanissimo
direttore ha regalato una Tosca sensuale, tragicamente affascinante,
bruciante nei suoni corposi, incalzante nei tempi, che non ha concesso un
attimo di respiro. Soprattutto ha offerto un'arte del fraseggio che
raramente abbiamo sentito, mai banale, mai prevedibile, sempre ricercata con
grande cura.
Jonas Kaufmann è stato il trionfatore della
serata, confermando una perfetta identificazione con Cavaradossi e i suoi
tormenti politici e sentimentali. Il tenore ha reso il personaggio con
aspetto latino e capelli ricci fluenti e scomposti e una attorialità
convincente in ogni gesto, in ogni espressione. Ma Kaufmann è Cavaradossi
anche dal punto di vista vocale per lo stile di canto, l'intonazione, i
passaggi perfetti tecnicamente e struggenti, il controllo della voce che
elimina l'enfasi a volte connessa al ruolo. Una prestazione esaltata da quel
colore di voce ineguagliabile, scuro e vellutato, con mezzevoci di grande
fascino. Il divo ha fiati e intonazione ed ha regalato un “diminuendo”
raramente eseguito. Davvero inspiegabili i fischi dal loggione (pochi e
isolati) nel finale.
Meno ha convinto Oksana Dyka, rigida
nelle movenze, voce potente ma a tratti dura e spigolosa, soprattutto
nell'acuto: il soprano è donna di bell'aspetto ma manca dell'allure della
diva, requisito indispensabile per ogni Tosca. Il legato è debole e questo
rende la prestazione carente nelle lunghe frasi musicali del secondo atto:
il suo “Vissi d'arte” ha diviso il pubblico, in quanto i sonori fischi hanno
spinto alcuni a caricare gli applausi.
Scarpia pare al centro delle
intenzioni registiche per la cura dedicata al personaggio. Zeljko Lucic è
perfetto: emana fascino morboso e perverso che vive di impulsi sensuali
(odora il ventaglio dell'Attavanti, annusa la pelle di Tosca, si muove con
fare lascivo e lussurioso); l'abito completa l'effetto: cappottone di pelle
pitonata foderato di rosso nel primo atto e completamente di nero nel
secondo (ma la bordura del cappottone è qui rossa con fodera verde).
Con loro, adeguati: Dejan Vatchkov (Angelotti, che si cala dall'alto con la
corda), Renato Girolami (il sagrestano), Luca Casalin (Spoletta con gli
occhiali da sole, come gli altri sgherri), Alessandro Calamai (Sciarrone),
Ernesto Panariello (un carceriere) e Barbara Massaro (un pastore).
Coro di voci bianche dell'Accademia del teatro alla Scala e Coro del teatro
preparati entrambi (e bene) da Bruno Casoni.
Teatro gremito
all'inverosimile, con la caccia all'ultimo biglietto da parte di molti
appassionati. Nel finale applausi calorosissimi e qualche “buuu” per
protagonisti e direttore, contestazioni difficilmente comprensibili.
Visto il 22.02.11 a milano (mi) Teatro: alla scala
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