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Teatro.org |
Ilaria Bellini |
Verdi: La Traviata, LONDRA, La traviata
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UNA VIOLETTA DEL NOSTRO TEMPO
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Al Covent Garden è ritornata la Traviata di Sir
Richard Eyre, produzione creata nel 1994 e accolta all’epoca con clamore per
la direzione di Solti e il “lancio” internazionale di Angela Gheorghiou, un
allestimento d’impronta tradizionale, particolarmente apprezzato dal
pubblico londinese, riproposto una decina di volte nel corso degli anni con
cast sempre diversi, ma solo nell’attuale ripresa, con Anna Netrebko nella
parte della protagonista, la produzione “di repertorio” è diventata l’hit
della stagione.
L’impianto scenico di Bob Crowley è estremamente sontuoso e ricrea con
grande bellezza e precisione scene e costumi di gusto vittoriano, un
ambiente fortemente caratterizzato la cui severa morale determina il corso
degli eventi. Il primo atto si svolge in un’elegante rotonda quasi
incastonata in una scalinata disposta a emiciclo e sormontata da un soffitto
a cupola drappeggiato di tessuto. Il salotto-bomboniera di Violetta, se pur
splendido a livello visivo, risulta troppo affollato, cosicchè le più intime
emozioni dei protagonisti non hanno il giusto rilievo e si stemperano fra
comparse fluttuanti, velluti, divani, crinoline, putti dorati. Essenziale,
quasi ascetica, la dimora di campagna, che si risolve in una sala dai colori
pastello caratterizzata da una gigantesca stufa di maiolica azzurrina. La
scena è poco profonda e talmente bidimensionale che le possibilità di
movimento sono ridotte e tutta l’attenzione è focalizzata sull’eccellenza
del canto dei tre protagonisti. Il salotto di Flora è delimitato da una
boiserie semicircolare in cui sono abbozzate gallerie che ricordano
un’arena, su cui s’innesta un soffitto dorato tutto stucchi e volute
sviluppato in altezza dalla prospettiva angolata e distorta. Una grande
lampada illumina con bell’effetto cromatico il tavolo da gioco che diventa
palcoscenico per zingarelle e matadores. Anche questa scena è molto
affollata e alcuni dettagli interpretativi non trovano il giusto rilievo (il
turbamento di Violetta, lo scatto di Alfredo, l’ arrivo di Germont), ma il
quadro di apertura è così gradito al pubblico che - così vuole l’aneddoto -
viene applaudito ogni volta con uguale entusiasmo. Finalmente vuoto nel
terzo atto: una grande stanza nella penombra con un letto di ferro e
un'immensa cornice ricoperta da tendaggi. Attraverso le persiane si odono le
voci fuori campo del carnevale e si intravedono ombre che si rincorrono
veloci, sono i fantasmi del passato che Violetta in una corsa disperata
cerca di afferrare o fuggire.
Anna Netrebko è la Violetta del nostro tempo: bella, brava, mediatica, ma
soprattutto una cantante-attrice di forte carisma capace con pochi tocchi di
rendere “avvincente“ una produzione oldfashioned senza stravolgerne lo
stile. E fa la differenza, per la gestualità da attrice consumata, il
realismo e la naturalezza con cui tratteggia il personaggio, gli attacchi di
tosse, uno sputo, la progressiva consunzione operata dalla tisi, resa
tangibile ed evidente, una Violetta vera. In lei convivono l’amante e la
cortigiana senza possibilità di riscatto che accetta quanto imposto dalla
morale al punto di mortificarsi in un atto di autodenigrazione come quando,
semisdraiata, con febbrile avidità, afferra i soldi gettati a terra da
Alfredo per strusciarseli addosso.
Intenso il terzo atto, il più riuscito anche a livello vocale per il
disincanto e l’apparente freddezza che rendono l’addio al passato drammatico
nella sua lucidità, un addio alla vita senza rimpianti che sgorga da un
corpo rattrappito e incavato incapace di sostenersi. La voce è sontuosa,
dalle suggestive screziature scure, solida la linea di canto e grande il
volume che smorza all’occorrenza con grande controllo in splendidi
pianissimi. Le si può obiettare che “non canta com'è scritto", varia i tempi
a favore dell’espressività vocale, non cura il legato e la formazione russa
si avverte nella dizione, ma è poi così importante? S’impone con una voce e
una personalità tali che tutto le è concesso. Ti conquista.
Jonas Kaufmann non ha la voce solare e mediterranea propria di Alfredo,
ma nemmeno certi manierismi da “tenore latino” e il timbro baritonale è
particolarmente efficace nei momenti più drammatici. Se nel primo atto
difetta di squillo e potenza, col progredire dell’opera la voce acquista
maggior peso e capacità di chiaroscuro e regge il confronto con la Netrebko.
Un Alfredo introverso, impacciato, trattenuto, schiacciato dal padre e dai
propri sentimenti, che acquisisce progressivo spessore e intensità
(bellissimo “ Ah sì che feci “ così smozzicato e confuso) rendendo giustizia
a un ruolo spesso banalizzato.
La voce di Dmitri Hvorostovsky è così profonda, solida e autorevole che da
sola mette soggezione ed è perfetta per il Padre dall’autorità
indiscutibile. A livello interpretativo Hvorostovsky è piuttosto rigido e
convenzionale e non ha l’intensità e le sfumature della coppia, ma grazie
alla vocalità così severa e incisiva sia nel piano che nel forte il
personaggio funziona.
I comprimari non sono degni di nota; si salvano la giovane Flora di Monika –
Evelin Liiv e Gastone di Ji-MinPark. Eddie Wade è un inconsistente Douphol,
Sarah Pring una sbiadita Annina, Mark Beesley è il Dottor Grenvil.
La direzione di Maurizio Benini non si distingue per originalità, ma è
corretta e funzionale a mantenere la coesione e la tensione narrativa.
Benini offre una lettura dai tempi veloci (ad eccezione di un preludio
decisamente lento) di supporto all’azione, attenta nell’accompagnare il
canto e particolarmente sensibile ai tempi della Netrebko.
Standing ovation, pubblico in delirio per la Netrebko, quasi stupita di
tanto calore.. non c’è che dire, è proprio una star! Ma il mondo dell’opera
ha bisogno anche di questo. |
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