Giornale della musica
Alessandro Di Profio
Beethoven: Fidelio, Paris, 25 Novembre 2008
Un "Fidelio" senza luce
Pur con Jonas Kaufmann, il "Fidelio" al Palais Garnier delude. Responsabile è lo chef.
Mancava “Fidelio” all’Opera national de Paris da venticinque anni. E ovviamente l’attesa era grande. Per altro, rinforzata dalla presenza della nuova star del firmamento dei tenori: Jonas Kaufmann. E invece la perplessità s’installa sin dalle prime battute dell’ouverture (la “Leonore I”) per poi lasciare presto il posto alla delusione e infine alla frustrazione. Eppure, tutto avrebbe dovuto funzionare. Perché il cast è di grande livello. Kaufmann è semplicemente perfetto: nulla a che dire del suo timbro sensuale, capace di un legato avvincente, della sua paletta di colori che vanno dal patetico all’eroico, dal pianissimo al forte mai gridato. Gli riesce tutto: anche di cantare sdraiato, quasi a pancia in sotto. Tanto da farci dimenticare che è in fondo un cantante. Paul Gay lo affianca con maestria. Convincente pure Alan Held. Relegati in ruoli secondari, Julia Kleiter e Franz-Josef Selig non riescono a passare inosservati. Angela Denoke offre un’interpretazione dignitosa di Leonore, ma non regge il confronto con gli altri. La regia di Johan Simons opta per un’ambientazione in una prigione moderna. Non riesce a servirsi della luce – fondamentale in “Fidelio” – per creare un vero contrasto: i coristi che si ritrovano alla fine in vestiti a fiori, è una trovata, capace solo di suscitare risate tra il pubblico. E la video sorveglianza dei prigionieri crea un’incoerenza che sfiora il non-sense: perché Leonore dubiterebbe che Florestan sia ancora in vita se lo vede in video? Insomma, una regia caotica che non apporta nulla al libretto originale. Purtroppo, il peggio lo dà l’orchestra sotto la bacchetta di Sylvain Cambreling. Il direttore ha svuotato la partitura di tensione drammatica. L’architettura beethoveniana è soffocata da un’esecuzione pesante, goffa. Uno scempio.






 
 
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