Milano,
18 luglio 2007 - Passo dopo passo, da quando Riccardo Muti ha lasciato la
Direzione Musicale del Teatro alla Scala, i grandi cantanti che
precedentemente non godevano dei favori dell’establishment scaligero stanno
tornando sul palcoscenico di quello che, piaccia o meno, resta il più noto e
temuto (per la severità dell’implacabile loggione) teatro lirico del mondo.
Il Sovrintendente Stéphane Lissner si è fatto portabandiera di questa
rinnovata tendenza, per la quale gli si deve dar merito al di là delle
conseguenze non sempre positive che tale scelta ha comportato. br> È pur
vero che nessun problema ha avuto Fiorenza Cedolins, soprano che lo scorso
febbraio ha finalmente esordito trionfalmente alla Scala in una Madama
Butterfly di Puccini che resta fra i maggiori successi di questa
stagione scaligera. Ma prima c’era stato l’episodio poco piacevole legato ai
“capricci” divistici del tenore Roberto Alagna, il Radames dell’Aida
di Verdi che ha aperto il corrente cartellone, reo di aver abbandonato la
scena, a seconda recita appena iniziata, dopo che il loggione lo aveva
“beccato” al termine della difficile aria d’ingresso.Nervi ben più saldi
ha mostrato la consorte di Alagna, il soprano rumeno Angela Gheorghiu,
anche lei cantante di fama internazionale e diva dello star system fra le
più amate e discusse, cimentatasi in questi giorni alla Scala, con successo
contrastasto, in un ruolo per cui è nota in tutto il mondo: Violetta Valéry
ne La Traviata di Verdi.
Sulla Gheorghiu erano puntati i riflettori della stampa, non meno che i
giudizi di una critica italiana che mai le è stata favorevole e che, dopo la
prima, non ha mancato di riservarle giudizi che non esiterei a definire
ingiusti ed insieme acrimoniosi. Ma il pubblico, dal quale ci si aspettava
forse sentenze negative definitive, si è invece diviso in fazioni opposte,
così che il diverso grado di apprezzamento ha finito per testimoniare la
capacità di questa grande cantante di creare un “caso” interpretativo, di
far comunque parlare di sé uscendo dalla scontata routine e di costruire una
visione del personaggio di Violetta sicuramente ricca di personalità. E mi
sento di riconoscerle tali meriti spostando il mio personale giudizio (che
si può condividere o meno) verso l’ago positivo della bilancia complessiva
di una prestazione di livello superiore.
Forse l’unico limite reale che mi sentirei di evidenziare è il volume della
voce, un po’ piccola, ma timbricamente morbida e fascinosa come oggi ve ne
sono poche, cremosa eppure luminosa soprattutto nella prima fascia acuta.
Sul piano virtuosistico la Gheorghiu supera con coraggio e determinazione
stilistica quasi nervosa lo scoglio della temibile cabaletta del primo atto.
Ma il meglio della sua prestazione si ha in un secondo atto da manuale;
prima nel duetto con Giorgio Germont (splendido il suo «Dite alla giovine»),
poi in un «Amami, Alfredo» morbidamente svettante e in un «Alfredo, Alfredo,
di questo core» ripiegatamente sofferto e pieno di pathos. Anche l’ultimo
atto la vede delineare una Violetta vocalmente lirica ma sorretta da un
temperamento scenico teatralmente avvincente, per quanto modellato su una
recitazione alquanto operistica, vicina a certi cliché “vecchio stile” delle
dive degli anni passati, però con una marcia in più: quella della bellezza,
del fascino irresistibile di una figura che sa donare a Violetta quella
febbrile sete di vita unita ad una eleganza vocale che rendono assolutamente
singolare un’interpretazione di riferimento nell’ambito delle grandi
interpreti di questo celeberrimo personaggio verdiano. La critica italiana,
che non ama le dive, ha ingiustamente censurato la sua prestazione. Ma
l’attesa intorno al suo debutto scaligero (fino ad oggi, a Milano, la si era
solo ascoltata in recital) ha creato fermento intorno ad una Traviata
che nel caldo mese di luglio non avrebbe, se non per lei, suscitato molto
interesse.
Sul
piano visivo si è trattato della ripresa dell’ormai ben noto allestimento di
Liliana Cavani (ripreso da Marina Bianchi), spettacolo fastoso
e di impostazione tradizionale che ha ben diciassette anni di vita. Anche la
direzione di Lorin Maazel, alla prima accolto da impietose
contestazioni, si conferma ricca di felici intuizioni liriche, che purtroppo
passano in secondo piano dinanzi ad rilassatezza nei tempi ed a qualche
eccesso nelle sonorità che hanno assai poco convinto.
Nel restante cast c’era un altro importante esordio scaligero, quello del
giovane ed interessante tenore tedesco Jonas Kaufmann, un Alfredo di
bel timbro brunito, che all’occorrenza sa anche piegarsi a mezzevoci e ad un
fraseggio teatralissimo, unito ad una recitazione e ad una presenza scenica
calamitanti. Ci inchiniamo poi, ancora una volta, dinanzi alla
professionalità e alla miracolosa solidità di mezzi vocali del Germont del
baritono Leo Nucci, il quale, non pago del trionfo riscosso tre
giorni prima all’Arena di Verona come Figaro nel Barbiere di Siviglia
di Rossini, ha letteralmente incantato il pubblico della Scala cantando
un’unica recita di Traviata e meritandosi, per questa, un personale
trionfo destinato ad entrare negli annali scaligeri. Lo stesso trionfo che
forse si aspettava Angela Gheorghiu, vittima di se stessa, della sua
personalità ahimè invisa al nuovo corso di un teatro d’opera che pare non
voler più ammettere i big del belcanto, ma solo più cantanti pronti a
piegarsi alle mode dei nuovi divi del momento: i registi. Mala tempora
currunt per le voci!
Rimanendo in tema di dive del melodramma, il prossimo 16 settembre si
ricorderanno i primi trent’anni dalla morte di Maria Callas, la cui leggenda
è legata indissolubilmente alla storia dell’interpretazione e del teatro
musicale stesso. La Scala le renderà omaggio in diversi modi e con diverse
iniziative. In primo luogo con due mostre che si inaugureranno venerdì 14
settembre al Museo Teatrale e nel Ridotto dei Palchi “Arturo Toscanini” sul
tema: “I costumi di scena” e le “Immagini dietro le quinte”. Nella prima
(aperta fino al 31 gennaio 2008) saranno esposti i costumi originali che la
Callas indossò nelle sue interpretazioni sul palcoscenico della Scala,
costumi oggi custoditi negli archivi storici del Teatro; nella seconda
(aperta fino al 30 novembre 2007) saranno raccolte immagini fotografiche,
per lo più inedite, di Maria “fuori scena”. Poi domenica 16 settembre, nella
esatta ricorrenza della scomparsa, la Scala aprirà le porte alla città
presentando in prima mondiale, nella sala del Teatro, il film “Callas” di
Philippe Kohly. Infine è prevista la pubblicazione di un volume fotografico
“Maria Callas - Gli anni della Scala” edito da Allemandi, che
documenta le dieci, indimenticabili stagioni che cambiarono il corso
dell’Opera nel suo porsi come alta sintesi di teatro e musica alla
sensibilità del nostro tempo. Così da non dimenticare i miti del passato. |