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Leggo/Il Mattino, 18 Novembre 2021 |
di Donatella Longobardi |
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Kaufmann al San Carlo: «Al mio Otello omicida non serve la faccia nera» |
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«Proprio pochi giorni fa ho trovato tra alcuni vecchi filmini di famiglia
girati da mio padre, uno in cui eravamo in vacanza a Napoli. Io avevo 10-11
anni e si vede che passo davanti al San Carlo, allora non potevo immaginare
che un giorno sarei stato in questo teatro a cantare per inaugurare la
stagione...». Si lascia andare ai ricordi Jonas Kaufmann, protagonista
dell'«Otello» con la regia di Mario Martone e la direzione di Michele
Mariotti che debutta domenica con una serata di gala, presente il Capo dello
Stato Mattarella. Il divo, innamorato da sempre dell'Italia e di Napoli,
confessa di sentirsi un «terrone tedesco» per essere originario della
Baviera, regione del Sud della Germania. Ieri, oltre alle prove in teatro,
ha registrato al Trianon un omaggio a Enrico Caruso per la Rai, nei
cent'anni dalla scomparsa.
Ma Kaufmann, lei che rapporto ha
con Caruso? «Caruso è un mito per ogni cantante e sopratutto per
i tenori. Aveva una voce unica, eccezionale, si è sempre detto anche del suo
tono scuro, baritonale, ma aveva anche una grande musicalità e una forte
presenza scenica. Ho ascoltato un disco che grazie ad un software inventato
l'anno scorso permette di sentire la voce senza toccare l'orchestra, è
spettacolare si capisce il fascino che ha emanato fino ai nostri giorni».
Lei, come Caruso, canta anche canzoni napoletane.
«Certo! Mi fa capire meglio la città, il suo spirito. Qui si vive ogni
giorno come fosse l'ultimo col Vesuvio che incombe e fa ricordare che la
vita non è infinita. Mi piace girare nelle strade, nei musei, vedere le
rovine archeologiche, Ischia, Capri... Ho imparato l'italiano in vacanza
qui».
Lei ha debuttato giovanissimo al San Carlo come Uriel
in «La creazione» di Haydn in forma di oratorio, era il 3 aprile 2004 e
dirigeva Jerzy Semkov, poi è tornato per un concerto organizzato da «Il
Mattino», ha cantato in «Aida» in piazza del Plebiscito e in «Cavalleria
rusticana» in forma di concerto in streaming. «Otello» è la prima vera
produzione nella sala del Massimo.
«Sì, e sono felice:
finalmente! Ho sempre un bel ricordo di questo teatro e ho sentito che anche
oggi l'acustica è splendida, migliore di altri teatri anche in Italia, ma
non mi chieda quali».
Può dire di Otello, però. In passato
aveva cantato in quest'opera nei panni di Cassio, ora affronta il ruolo del
titolo.
«Cassio è stato uno dei miei primi assi verdiani
insieme con Alfredo in Traviata. E meno male che ho fatto così, sapevo i
rischi e i problemi e il peso vocale di Otello. Ho aspettato molto tempo
prima di interpretarlo, è una bestia nera per ogni tenore, Verdi ha scritto
questa musica con tanto convincimento che si sente tra le note l'impazienza,
la gelosia di cui Otello non riesce a liberarsi».
Ma cosa
pensa di un uomo che uccide la compagna dicendo che la ama e cosa pensa
della decisione del regista Martone di ambientare l'opera ai nostri giorni
in un deserto mediorientale?
«Io, come attore, devo capire
cosa spinge Otello a uccidere Desdemona. Certo, l'omicidio è sempre stato un
crimine grave, non solo oggi. Qui la situazione è complessa perché Otello è
uno straniero e ha fatto carriera di grande condottiero e deve stare molto
attento ad ogni suo passo per mantenere la sua fama. Sarebbe stato
impossibile per lui avere debolezze, ovvero una moglie infedele, anche se
noi sappiamo che non è vero».
Lei canterà senza il volto
tinto di nero, lo preferisce
«Ho sempre pensato fosse
sbagliato per vari motivi, forse lo stesso Shakespeare parlando del Moro si
riferiva a un cognome che esisteva veramente in Sicilia. E se davvero veniva
dal Nordafrica doveva somigliare più a un arabo che ai personaggi
interpretati da Domingo o Del Monaco».
Lei ha debuttato come
Otello a Londra nel 17 al fianco della Desdemona di Maria Agresta, poi avete
cantato insieme a Caserta, ora siete di nuovo in coppia, che significa avere
al proprio fianco una partner sperimentata?
«È importante
cantare con qualcuno di cui ci si può fidare, rilassa molto. E poi averla di
nuovo al fianco vuol dire che non l'ho maltrattata troppo quando l'ho uccisa
in scena».
Nella sua agenda ci sono sempre più concerti che
opere, tornerà al San Carlo?
«Certamente tornerò per tante
altre cose. È vero che faccio meno opere e più concerti ma la ragione è
semplice: un'opera consuma energia e tempo, un concerto si fa più
velocemente e quindi è più facile rispondere alle tante richieste che
arrivano da tutto il mondo. Ma sono già d'accordo col sovrintendente
Lissner, al San Carlo farò altre opere». |
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