Vanity Fair, März 2016
di SARA FAILLACI
 
 
Ho imparato a innaffiare
 
È la star della lirica, e il pubblico (specie quello femminile, specie ora che si è separato) è pazzo di lui. Ma non fate avances a Jonas Kaufmann. Perché, nel suo fittissimo carnet di lavoro, oggi c'è anche un nuovo amore. E una nuova scoperta

La velocità con cui passa da una lingua all'altra — inglese con il manager, tedesco con la figlia, italiano con me — è impressionante. Anche se non è per come parla che è diventato famoso. Jonas Kaufmann è, ormai da dieci anni, uno dei tenori più applauditi al mondo. Merito della voce, dell'aspetto — più che un cantante lirico tedesco sembra un divo di Hollywood — e di una passionalità travolgente.

Lo incontro a Monaco di Baviera alla vigilia dell'uscita, il 18 marzo, del dvd che raccoglie due opere cult: Cavalleria rusticana di Mascagni e Pagliacci di Leoncavallo. Sono giornate anomale: per un problema alla voce, già superato, ha interrotto la sequenza di serate che lo porta 365 giorni all'anno in giro per il mondo. Forse per questo si apre alle confidenze più di quanto abbia mai fatto.

Ride spesso, in modo fragoroso e contagioso, tranne quando, al telefono, deve giustificare il suo ritardo alla figlia sedicenne che lo aspetta sotto il teatro minacciando di andarsene. Qui entra in azione l'attore: piagnucola, si dispera, la supplica, finché lei gli concede altri dieci minuti.

Che ci sappia fare con le donne, del resto, è cosa nota: basta vedere le partner che, sul palco, se lo mangiano con gli occhi. Dopo un recital alla Scala lo scorso giugno, io stessa ho visto una folla femminile isterica aspettarlo in strada fino all'una di notte.

Le fan poi hanno perso ogni dignità — e gli scrivono sui sociali messaggi più irripetibili — da quando, nel 2014, il tenore si è separato dopo quasi vent'anni di matrimonio e tre figli (la sedicenne Charlotte, Fabio, 12 anni, e Matteo, 10).

Come si diventa Jonas Kaufmann?
«Lavorando tanto: non sono mai stato un bambino prodigio. A cinque anni cantavo già in un coro, ma per molto tempo l'ho considerato un hobby: ero convinto che, se l'avessi trasformato in lavoro, avrei perso la passione. All'università mi sono iscritto a Matematica, presto però mi sono reso conto che non volevo passare tutta la vita sui numeri. Ho deciso di rischiare e provare con la musica, benché mio padre fosse contrario: vedeva un futuro troppo incerto per me».

Beh, si sbagliava.
«Fino a un certo punto. Vede, i tenori sono sempre pochi, quindi il lavoro in teatro c'era, ma non eccellevo. Finché a 25 anni ho trovato un professore fantastico, americano, che mi ha proposto una tecnica diversa. Significava ricominciare da capo e tutti mi dicevano che ero pazzo, che mi sarei rovinato la voce. Ma io ho deciso di seguirlo perché, per la prima volta, sentivo di avere uno strumento affidabile, che potevo usare giorno e notte senza stancarmi. Il segreto del mio lavoro è usare la voce nel modo più naturale possibile».

Dieci anni fa la sua carriera è esplosa: ha debuttato al Met di New York e alla Scala. Come le è cambiata la vita?
«Vorrei dire che non è cambiata, ma mentirei. Hai l'impressione che la vita non sia più tua: all'improvviso non hai un giorno libero e, se solo provi a bloccarlo per te, devi dare a tutti mille spiegazioni del perché quel giorno non hai concerti, prove, interviste».

Chissà che stress.
«Io, in realtà, riesco a mantenere la calma anche nelle situazioni peggiori. Per esempio, ora ho appena superato un problema alla voce. Un altro sarebbe preoccupatissimo, io cerco di sfruttare queste giornate per le cose che non ho mai tempo di fare».

Per esempio?
«Stare con i miei figli. Per loro ci sono sempre stato, ma avere il telefono perennemente acceso è diverso rispetto a vivere una quotidianità a casa insieme».

Avrebbe mai rinunciato, per il lavoro, a mettere su famiglia?
«Mai: sognavo la famiglia già da giovane. E avevo ragione. Mia moglie (il mezzosoprano Margarete Joswig, ndr) mi ha sempre aiutato molto, ha sempre capito i miei problemi, mi ha sempre dato il consiglio giusto».

Le faceva anche da manager?
«No, ma era la manager della famiglia, che è un ruolo anche più importante. Senza il suo sostegno non avrei mai fatto la carriera che ho avuto».

La separazione ha cambiato il rapporto con i suoi figli?
«All'inizio temevo che potesse accadere: se tra i genitori scoppia la guerra, i bambini sono spesso usati da uno o dall'altro. A noi fortunatamente non è successo: abbiamo parlato in maniera chiara, c'è grande rispetto, tutte le decisioni che riguardano i bambini le prendiamo insieme. Quello che noto, però, è che i miei figli sono più rilassati. Evidentemente non sentono più la tensione che percepivano tra di noi, ancora prima che noi la percepissimo».

La sua infanzia invece come è stata?
«Ho ricordi felici, anche se i miei genitori hanno vissuto momenti difficili: entrambi sono scappati da Berlino Est poco dopo la costruzione del Muro. La famiglia di mia madre finse di andare a trovare dei parenti a Ovest ma si dovette dividere in tre gruppetti per non dare nell'occhio alla frontiera. Mio padre, che all'inizio aveva creduto nel sistema socialista, fuggì appena prima della chiusura totale, lasciando i suoi genitori, aiutato da un amico che lo aveva invitato dall'altra parte come testimone del suo finto matrimonio. Arrivarono qui a Monaco senza niente. Mio nonno materno, che era stato un noto commercialista, prese in gestione una lavanderia dove mise a lavorare tutta la famiglia».

Lei quindi è cresciuto nelle ristrettezze?
«In realtà no, perché mio padre ha trovato lavoro nelle assicurazioni e mia madre come maestra d'asilo. Però abitavamo qui vicino nel quartiere dei rifugiati, una distesa di palazzine da otto piani, tutte uguali. Penso sempre a questo quando si parla dei profughi siriani. Sono tanti, è vero, e richiedono risorse all'Europa. Ma se negli anni Sessanta i tedeschi dell'Ovest avessero ragionato così, io oggi non sarei qui. Tutti a criticare la Svizzera perche all'epoca del nazismo ha chiuso le frontiere a migliaia di persone che cercavano salvezza, peccato che oggi molti Paesi europei si comportino allo stesso modo».

Da bambino veniva con la sua famiglia a fare le vacanze in Italia. Che ricordi ha?
«Giocavo a calcio sulla spiaggia e gli altri bambini erano convinti che fossi italiano. Quando mi hanno sentito parlare in tedesco con mia sorella, non potevano crederci: per loro i tedeschi erano solo biondi con gli occhi azzurri. Anch'io ogni tanto ho il sospetto di avere sangue italiano, ma per il carattere: da voi mi sento a casa».

So che è appassionato della nostra cucina.
«Ho una lista dei ristoranti migliori, città per città. Posso farmi un'ora di macchina per mangiare la pizza con il lievito
giusto».

E come fa a mantenersi così in forma?
«Sono fortunato, non ho mai dovuto fare una dieta. Mi basta cantare: anche quella è aerobica».

Non si direbbe: le cantanti liriche sono piuttosto in carne.
«Non tutte. E se lo sono, non dipende certo dal mestiere: i chili non servono alla voce».

In effetti, anche nella lirica oggi è richiesto il physique du rôle. E lei, che ce l'ha, è considerato un sex symbol.
«È una cosa che mi fa molto ridere, ma anche molto piacere. La verità è che la concorrenza nel campo dell'intrattenimento, con il cinema per esempio, è grande: devi essere credibile se vuoi convincere gli spettatori, i giovani soprattutto, che l'opera è uno specchio della loro vita».

Sul palco mette sempre molta passione. È solo un bravo attore, o a volte il trasporto verso la partner è sincero?
«Sono un passionale e sul palco metto tutto me stesso, infatti è capitato che alcune partner abbiano frainteso, che ci abbiano letto qualcosa di più, un'intesa anche fuori dal palco. Una situazione parecchio imbarazzante da gestire».

Può sempre dire che è sposato.
«Ma ora non lo sono più...».

È comunque impegnato: la sua nuova compagna è la regista Christiane Lutz.
«Fa un certo effetto rinnamorarsi a 45 anni: non pensavo, dopo tanto tempo passato con la stessa donna, che le emozioni potessero tornare a essere le stesse di quando sei giovane. È qualcosa che all'inizio mi ha anche spaventato, dover ribaltare completamente la mia vita. Questo sentimento nuovo mi ha preso all'improvviso, non ricordavo neppure che esistesse il colpo di fulmine. L'amore è fatto di cliché, ne canto sempre, e poi quando succede davvero dici: ma allora è vero, e ogni parola è quella giusta, è pazzesco».

La sua compagna ha 36 anni e nessun figlio. Si sentirebbe di diventare di nuovo padre?
«È prematuro pensarci, non stiamo insieme da tanto tempo. Vedremo dove ci porterà la vita».

L'ha cambiata, come artista, essere innamorato?
«Più che altro credo mi abbia migliorato come uomo. Ho riflettuto molto su quello che ho sbagliato in passato e ho capito che l'amore è come una pianta, si deve annaffiare. Se ti dimentichi di farlo, muore. E non rinasce più».








 
 
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