Anche i cinefili conoscono l'ultimo Lied del Viaggio d'inverno, « Der
Leiermann », avendone ascoltato ripetutamente l'incipit pianistico e
presentendovi la Morte insieme al folle Cari Akerblom, protagonista di
«Vanità e affanni» di Bergman. E anche i lettori de «La montagna
incantata» di Mann hanno pianto per la sorte di Hans Castorp (votatosi,
né più né meno come il protagonista della Winterreise,
all'autoannientamento), mentre, ferito a morte e sperdendosi in una
terra di nessuno, accenna con un filo di voce a «Der Lindenbaum ».
Pertanto, sorvolo sui contenuti poetico-musicali del ciclo schubertiano,
profana via crucis in ventiquattro stazioni su poesie di Wilhelm Müller
ed emblema del «dolore cosmico» romantico, e passo subito a presentare
questa nuova incisione affidata al cantante che ha folgorato la Scala
vestendo i panni di Lohengrin: Jonas Kaufmann, non l'ennesimo, tonante
Heldentenor, ma un interprete capace di incarnare anche l'« antieroe »,
nel senso più squisitamente romantico del termine. Questa incisione, con
al fianco un partner d'eccezione qual è Helmut Deutsch, ne costituisce
la prova schiacciante, anche se — come per tutte le registrazioni in
studio, del resto — vi manca quel «mettersi a nudo » dell'interprete di
fronte a un pubblico in carne e ossa. Eppure, nel caso della
Winterreise, la registrazione in studio, grazie all'anecoicità che la
contraddistingue, ingenera un horror vacui che è surrogato sia del «gelo
» che, salvo qualche chimerica tregua, attanaglia l'anima del viandante,
sia del paesaggio innevato che lo circonda durante il suo solingo
peregrinare. In passato non sono mancati grandi tenori operistici,
beniamini del pubblico, che si sono cimentati con il ciclo liederistico
schubertiano (vedi Peter Anders, Julius Patzak, Jon Vickers...). Ma
ritengo più proficuo considerare la lettura che Kaufmann dà della
Winterreise confrontandola con l'« ingombrante » eredità discografica
del baritono Dietrich Fischer-Dieskau, il quale è certamente da
annoverarsi nella categoria dei «mattatori»: le sue doti attortali,
infatti, gli furono preziose, allorquando la sua voce cominciò a dar
segni di cedimento, per far di necessità virtù, conferendo alla vocalità
del Wanderer quasi un'allucinata Sprechstimme, certo pertinente alla sua
dilacerata, schizoide psiche e ai chiaro-scuri della melica schubertiana
(le mortali, striscianti alterazioni «napoletane » e i cortocircuiti
espressivi dovuti all'alternanza maggiore/minore di tonalità omonime).
La disomogeneità dei registri vocali dell'ultimo Fischer-Dieskau fu
comunque sempre compensata da uno scavo della parola unico. Veniamo ora
a Kaufinann e, in primo luogo, alla sua resa dello spartito
schubertiano. Nel booklet del CD, una doverosa nota avverte: «In a
number of passages the artists consciously adopt the reading of the
autograph score rather than that of existing Urtext editions». In questo
senso, in « Der Leiermann », per esempio, conformemente all'edizione
critica della Winterreise curata da Walther Dürr, Kaufmann indugia su
varianti ritmiche che, attraverso una più pervasivi presenza del ritmo
puntato, rendono ancor più ferale l'ultimo Lied del Zyklus, ma le
estende ulteriormente, mentre nelle precedenti tappe del suo « viaggio
», il tenore, a differenza del più atletico Fischer-Dieskau, dribbla,
alla dodicesima misura di «Erstarrung», la nota di volta e lo scarto
ritmico sul terzo verso ed evita accuratamente le semicrome della
ventesima misura in « Wasserflut ». Peraltro, sarebbe maligno pensare a
soluzioni di comodo: ben altre sono le difficoltà che farebbero
impallidire Kaufmann. Sempre in «Wasserflut», Deutsch opta invece per
non uniformare alla terzina dell'inciso iniziale il ritmo puntato della
mano sinistra (come prassi esecutiva vorrebbe): tale asimmetria si sposa
qui perfettamente all'altrettanto « singhiozzante » secondo verso che
figura le roventi lacrime che il Wanderer lascia cadere sulla neve,
sciogliendola. A parte altre deroghe — ben motivate espressivamente —del
sensibilissimo pianista, il servizio reso al testo musicale da Kaufmann
è coerente e l'interpretazione è ineccepibile: le indicazioni
schubertiane sono rispettosamente assecondate, a partire dai portamenti
— sempre per rimanere in « Wasserflut », ricorderete senz'altro quello
ascendente sulla parola « Weh », alla fine della prima stanza — e non
c'è Lied semistrofico dove, a una medesima melodia, non si trovino
sfumature differenti a seconda delle parole: si confronti, nella
ripetizione musicale delle prime due strofe del primo Lied, «cute Nacht
», la netta differenza di colore tra « Blumenstrauß » e « Dunkelheit »
e, più in là, il senso di ineluttabilità segnata dalla seconda e più
acuta affermazione della terza strofa (« Gott hat sie so gemacht! »),
prima dell'addio all'amata; versi, quest'ultima, che le verranno
sussurrati — con incantevole, vellutato falsettone — come all'orecchio,
mentr'ella donne. La cifra di questa interpretazione sta proprio nel
riservare messe di voce e cambi di posture vocali — volutamente
soffocate, a volte — ai più scoperti nervi emozionali di ciascun Lied:
un'intonazione più levigata e omogenea rispetto a quelle bizzose, spesso
didascaliche nell'innervare particolari versi nelle diverse
interpretazioni della piena maturità di Fischer-Dieskau (quelle
registrate negli anni settanta con Moore, Barenboim e Brendel). In «
Gute Nacht », con Fischer-Dieskau la menzione alla «mancata suocera »
del Wanderer suona risentita; Kaufmann, invece, sorvola su questo
dettaglio e, come abbiamo visto, va al sodo, ossia al sofferto,
definitivo congedo. In «Der Lindenbaum », transustanziandosi nella
gelida folata descritta, la voce di Fischer-Dieskau ti travolge
impietrendoti e facendoti entrare nella pelle del Wanderer; Kaufmann,
invece, rimane calato nel personaggio e ciò che lo scuote è
un'inquietudine tutta interiore, dettata dalla solitudine (qui, come
altrove, sono i calibratissimi polpastrelli di Deutsch a incaricarsi di
scatenare gli elementi), ma è in exitu, nell'interrogativo rivolto dal
prostrato protagonista al suonatore di ghironda — che si leva dal
proprio deserto esistenziale come un espressionistico (Urschrei- , che
la lettura del tenore sembra concordare con l'ultima testimonianza audio
del baritono, quella registrata con Perahia nel 1990. Queste alcune
sorprese che riserverà l'ascolto di questa Winterreise. Queste alcune
differenze interpretative tra Fischer-Dieskau, barocco «
musicista-pittore», e Kaufmann, wagneriano «musicista-poeta ».
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