Dopo Die schöne Müllerin Jonas Kaufmann e Helmut Deutsch hanno
registrato anche il secondo grande ciclo schubertiano, ancora più
impegnativo del precedente per la tinta pressoché uniformemente cupa e
per il percorso segnato, senza vie d’uscita, verso la follia e la morte
che lo contraddistinguono. Kaufmann e Deutsch hanno le idee chiare al
riguardo e mettono per così dire in scena la rappresentazione di un
racconto parateatrale che punta a individuare e valorizzare con
puntualità le specifiche caratteristiche di ogni Lied, così da far
risaltare l’unicità del momento che esso segna e da ultimo ricomporre le
diversità in un quadro d’insieme coerente. In qualche occasione si
coglie forse nel canto la tentazione di forzare l’intonazione nel senso
di una spettacolarizzazione quasi operistica, che peraltro Kaufmann è
troppo accorto per realizzare davvero manifestando piuttosto una varietà
di inflessioni cantabili e un’ampia gamma di soluzioni espressive
perfettamente pertinenti e funzionali allo svolgersi di una narrazione
che è sì teatro ma appunto dell’immaginazione e della memoria. Negli
ultimi sei, decisivi Lieder del ciclo, da Täuschung in avanti, diviene
chiaro l’accentuarsi di una lettura trasognata che lascia intendere come
la narrazione sia ormai proiettata, in via definitiva e senza ombra di
dubbio, su un piano che appartiene appunto alla memoria,
all’immaginazione e alla fantasticheria e non più alla rappresentazione
della realtà, se così si può dire, del viaggio d’inverno del
protagonista.
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