Classic Voice, dicembre 2010
 
Verismo Arias
 

Meno male: se verismo dev'essere, lo sia: senza mettergli le braghe, cercando arie quasi inedite (ce n'è una, di Refice, orrenda e che difatti Kaufmann canta così e così perché non ha niente da dire) e limitando a due quelle note solo agli specialisti. II resto è fatto o di arie che veriste non sono - Faust boitiano ed Enzo di Gioconda - o di capisaldi. Quindi, il senso dell'operazione è: si può fare un verismo moderno, oppure ci si deve sempre rifare agli esempi del passato, quelli mitici e quelli presunti tali in virtù d'una mitizzazione che li ha resi modelli, fa niente se spesso fasulli? Certo che si può.

Però occorre: a) un timbro scuro, giacché in area prevalentemente centrale gravita la scrittura, che quindi di questo colore soprattutto necessita; b) dizione scolpita, giacché la comprensione del testo è essenziale, non perché sia d'un qualche valore ma perché su di esso vi si plasma una scrittura che in esso s'esaurisce; c) accento, accento, accento. Accento moderno, però. Quel senso della parola che sappia inturgidire il suono a scopo passionale o rabbioso, ma anche schiarirlo e sospenderlo in pianissimi di rapinosa elegia sensualeggiante in cui riflettere quel gusto decadente della sentimentalità un po' sfatta e facilona che può legittimamente dar fastidio di per sé, ma che nella scrittura c'è e anzi ne costituisce la ragion d'essere, sicché scansarla equivarrebbe a metterle un altro paio di braghe, e allora meglio volgersi altrove.

Circa il modo con cui Kaufmann realizza tutto questo, possiamo anche discutere. Per uno come me cresciuto su vecchie incisioni, inquietano parecchio (come m'inquietavano in Giuseppe Giacomini: voce, e modo d'emetterla, che Kaufmann ricorda molto) certi suoni spoggiati per far galleggiare la voce in pianissimi il cui confine col falsetto è incerto, alternati a scoppi torrenziali che il timbro scurissimo rende una sorta di colata lavica. Gli uni e gli altri, però (e qui da Giacomini siamo distanti assai), introdotti in punti dove non te l'aspetteresti mai, ma dove l'accento, dunque il colore, ti fanno scoprire come ci stiano invece benissimo: sicché intrigano anche di più chi, anziché stare a casa a far girare il fonografo a tromba, si ostina ad andare a teatro sperando d'ascoltare teatro.

E comunque, che gran tecnica richiede l'infarcire di piani e pianissimi un brano come "Cielo e mar", tutto sui re-fa del passaggio di registro, senza far percepire il minimo scalino: che fantasia sprizza dalle tante ripetizioni di parole dell'ultima parte mai uguali, sul filo d'una dinamica mantenuta sempre pulsante, con sfumature anche infinitesime, colori qui acquerellati e là stesi a dense pennellate, sensualità che deborda e intride ogni nota. Che fiati, nell'"Amor ti vieta"! Che legato, nella "solita storia del pastore"! Che Improvviso depurato d'ogni retorica e invece ricondotto, appunto, a un'improvvisazione tutta animazione, mordente, concitazione, persino un po' affannosa, bellissimo. Una scena della tomba, dal Giulietta e Romeo dove il tipico, scabro e incisivo declamato arioso di Zandonai attinge a risultati cospicui: ma solo a patto di trovare esecutore capace di scontornare ogni parola, di darle colore e mordente sempre diversi ma nell'ambito d'una continuità incalzante e soprattutto coerente di discorso (ennesimo eufemismo che sempre "teatro" significa), di trovare insomma un Kaufmann che firma qui un vero e proprio capolavoro.

Brani notissimi, questi del presente recital, oggetti di pesanti distinguo da parte della critica ma d'immutato amore da parte del pubblico; e tutti con decine d'illustri esempi - vocali o espressivi o entrambi - alle spalle: la partita si gioca dunque sulla capacità o meno di mantenerne l'interesse in giorni dalla sensibilità parecchio mutata anche rispetto a soli due decenni fa. Kaufmann, con una tecnica molto personale che sfrutta la scurissima peculiarità timbrica per immascherare il suono in modo senz'altro eterodosso ma oltremodo efficace sul piano espressivo, è tra gli interpreti più moderni di oggi e, fra i tenori, su questo piano si lascia indietro tutti. Col determinante concorso di Pappano (che stacca tempi, sonorità, dinamiche, le migliori possibili non tanto per aiutarlo ché non ne ha bisogno, ma per valorizzare la voce in seno a un preciso contesto espressivo), Kaufmann rende d'espressività modernissima anche questo repertorio: mostrando per l'ennesima volta come certe musiche paiano spesso vecchie e superate solo perché vecchi, sempre quelli, quindi superatissimi, sono i modi d'eseguirle.

 

 






 
 
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