L'Opera, settembre 2013
Giancarlo Landini
 
Jonas Kaufmann - The Verdi Album
 

Voce inconfondibile per timbro e colore, Jonas Kaufmann affronta in questo recital un impegnativo programma che, come dimostra la track List («La donna è mobile», «Se quel guerrier io fossi... Celeste Aida», «Ah! Sì, ben mio con l'essere...Di quella pira», «Di tu se' fedele»,. «Forse la .soglia attinse...Ma se m'è forza perderti», «O inferno... Sento avvampar nell'anima...Cielo pietoso rendila», «La vita è inferno...O tu, che in seno agli angeli», «Oh fede negar potessi!...Quando le sere al placido», «Dio! Mi potevi scagliare», «Niun mi tema», «O figli, o figli miei!...Ah, la paterna mano», «È Lui! Desso, l'Infante...Dio che nell'alma infondere», con Franco Vassallo, Rodrigo, «Destatevi, o pietre...Giuri ognun questo canuto») lo porta ad affrontare l'intero arco della produzione verdiana. Si va dagli anni di Galera, con I Masnadieri, all'Otello. Al termine dell'ascolto appare chiarissimo che oggi Kaufmann è tenore verdiano di riferimento. Intanto la voce, dotata di una prima ottava baritonale, di un bel centro e di un registro acuto, pronto e sicuro, gli permette di assolvere a tutte le esigenze della tessitura. È il caso del Riccardo del Ballo in maschera che, finalmente, ritrova un tenore spinto, come era in origine, con la conseguenza di ridare al personaggio it giusto spessore psicologico e drammatico, anche in virtù di note gravi vere e non inventate. È il caso di Don Carlo che vuole voce stentorea come Otello. È il caso di Manrico e della «Pira».

La completezza tecnica permette a Kaufmann di fare fronte ad una scrittura che richiede fierezza e nobiltà ottenute attraverso un canto incisivo dove declamazione e cantabilità si inseguono e chiarezza di fraseggio, ma anche legato, emissione rotonda, ampia paletta dinamica, comprensiva di mezzevoci. Va però osservato che Kaufmann non usa il canto a fior di labbro con intento virtuosistico, ma come parte integrante del dettato verdiano. Si ascolti «Celeste Aida». Molto spesso il problema di questa pagina è stato ridotto alla puntatura da emettere in piano, trapiantando la mezza voce in esecuzioni muscolose, con palese incongruenza stilistica. Kaufmann imposta tutta la romanza di Radames in una dimensione lirica, fatta di sfumature, di smorzature, di alleggerimenti, così che la puntatura risulti coerente e conseguente. Allo stesso modo il Monologo di Otello viene declamato con forza, ma al momento opportuno la voce asseconda la frase e la smorza come Verdi esige e come interpreti, anche famosi, non sono riusciti a realizzare. Kaufmann dimostra sul campo che senza il completo dominio del passaggio realizzato sul fiato non si può cantare Verdi.

Un canto così aderente alla partitura, così calato nella musica redime i limiti di un timbro, che io ritengo affascinante, ma che non ha la solarità e la bellezza latina, le quali, sia detto con chiarezza, molte volte sono state usate come scorciatoie per nascondere una tecnica incompleta ed un approccio piuttosto superficiale alla vocalità verdiana. Questo stupendo recital, che si awale tra l'altro dell'ottima direzione di Morandi e dell'eccellente apporto di masse artistiche in perfetta sintonia con i brani cantati (benissimo il Coro del Municipale ottimamente preparato dal Corrado Casati) è la dimostrazione che l'opera si fa con la voce e la drammaturgia musicale si realizza nel canto. Solo con un «Celeste Aida» cantato come abbiamo illustrato, diventa credibile il dramma di Radames, l'intima contraddizione di un animo dove il confine tra la luce e l'ombra, tra il dovere e la passione, è così labile. Un altro esempio: Alvaro si avanza nel Campo di Velletri. Il Recitativo altema abbandono e concitazione, in un clima di ripiegata malinconia. In termini tecnici significa un canto ora declamato ora legato, ora in pianissimo ora in fortissimo, un gioco di spessori e colori senza il quale la frase si fa inerte. L'attacco dell'Aria richiede suono morbido, sostenuto, virile eppure dolce, altrimenti l'interpretazione non si realizza. L'osservazione è si può estendere anche ad altri brani e ad altri personaggi.

Ai requisiti fin qui elencati bisogna aggiungere la dizione chiara, il giusto accento, uno stile pertinente, scevro di portamenti che increscono al gusto moderno, libero incrostazioni veriste o da un lirismo troppo estenuato. Perciò la rovente vocalità di Adorno è drammatica, ma non turgida. Lo sfogo di Rodolfo è pieno di slancio e parente prossimo di Manrico, mentre Carlo Moor ha la carica che la situazione richiede. Con tutto questo non dirò che Kaufmann sia il migliore tenore verdiano del secolo e che l'esecuzione di ciascuna pagina sia la migliore in assoluto. Sarebbe ridicolo e non credibile. Ma è vero invece che non solo oggi Kaufmann non ha confronti in questo repertorio, ma che è anche in grado di entrare nella galleria dei migliori interpreti della produzione verdiana e di potere reggerne il confronto. Come dire che non lo si ascolta perché non c'è niente di meglio in circolazione, ma perché i meriti sono reali e lo sarebbero ieri come oggi. L'incisione è ottima per il bei risalto dato alla voce, per l'equilibrio tra canto e orchestra, per l'ampiezza della scena sonora.

 

 






 
 
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