
Jonas Kaufmann e Antonio Pappano, tutta la tecnologia Sony e
vari tipi di confezioni (deluxe, lp…) più che patinata, ovvero
il perfetto prodotto da mettere sul mercato in vista delle
festività natalizie ma dietro a tutta quest’apparenza qual è
l’effettiva sostanza artistica? Spesso cornici troppo
sfavillanti accompagnano prodotti mediocri e in parte questa
regola è confermata nel presente caso.
Ovviamente non
manca una grande professionalità ma difficile sarebbe trovare
una vera scintilla salvo forse in qualche singolo brano più
riuscito di altri; Kaufmann è sicuramente un cantante
scenicamente carismatico ma, al semplice ascolto in cd, lo è
molto meno e non sfugge al rischio delle genericità e anche
Pappano pur con tutto il mestiere di cui dispone non si eleva al
di sopra di una routine magari d’alta classe ma pur sempre
routine.
Va inoltre riscontrato come il repertorio
pucciniano non sia congeniale alla voce di Kaufmann specialmente
in questa fase della carriera del tenore tedesco dove la ricerca
di uno spessore drammatico che appare molto costruito lo ha
spinto ad ingrossare i centri a scapito della naturalezza nelle
zone di passaggio; ciò emerge con maggiore forza nella zona
iniziale del settore acuto in cui la voce tende a stringersi
marcando uno stacco fra i registri decisamente non felice. A
questo si aggiunga che il canto di conversazione italiano non è
certo la sua dote migliore. Difficili sono le ragioni per
comprendere la scelta di questo programma se non quelle
meramente commerciali.
I brani da “Manon Lescaut” sono al
riguardo emblematici. “Donna non vidi mai” è snaturato da una
ricerca di volume sostanzialmente inutile per il personaggio
mentre l’acceso clima del duetto con Manon – una Kristine
Opolais (soprano lettone di bella presenza scenica ma dalla
linea vocale aliena al canto italiano, dal timbro anonimo,
ingolato e fraseggio incomprensibile) – gli è sicuramente più
congeniale ma forse troppo virato verso impeti quasi
espressionistici mentre insolitamente marcato è il drammatico
come “Non, pazzo son” decisamente troppo faticoso nelle salite
all’acuto.
La scelta di inserire brani tratti da opere
giovanili del compositore – “Le Villi”, “Edgard” – ha più meriti
editoriali che esecutivi che qui non va oltre ad un solido
mestiere. I brani seguenti sono invece molto noti ma
l’esecuzione è alterna. Rodolfo, Pinkerton, Ruggero (“La
rondine”) sono ruoli totalmente alieni a Kaufmann mentre
Cavaradossi sarebbe più congeniale ma l’impressione è di una
lettura troppo generica e trascurata. Il punto più basso del cd
è però lo stornello di Rinuccio, sguaiato, duro e faticoso negli
acuti, una scelta quanto meno illogica.
Altri brani hanno
fortunatamente una riuscita di gran lunga migliore. In primo
luogo il Johnson de “La fanciulla del West” è per tessitura e
taglio vocale il ruolo pucciniano più congeniale al cantante. Il
colore scuro e brunito è perfetto per la parte e la tessitura
centrale evita di metterlo in difficoltà permettendogli di far
valere un declamato scultoreo e autorevole così che “Una parola
sola!…Orson tre mesi” risulta decisamente il momento migliore
del disco e oggi è difficile pensare ad un cantante più adatto
al ruolo. Molto buona anche la prova come Luigi (“Il tabarro”)
cui giova una certa irruenza anche un po’ scomposta. Se gli
ascolti precedenti lasciavano più di una perplessità per le due
arie di Calaf poste in chiusura bisogna riconoscere che i
risultati sono decisamente migliori delle attese. La parte deve
risultargli più comoda di altre così che anche gli acuti – pur
non perfetti – suonano più facili e naturali e se “Nessun dorma”
risulta un po’ generico in “Non piangere Liù” Kaufmann ottiene
effetti di grande credibilità e di pieno coinvolgimento con la
situazione drammatica.
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