Kaufmann e anche protagonista del Parsifal del Metropolitan
diretto da Daniele Gatti appena uscito in dvd con la regia di
François Girard. Si ricorderanno le polemiche sul Lohengrin
scaligero in cui a Kaufmann veniva rimproverata
un’interpretazione troppo decadente del personaggio, non piu
eroe senza macchia, ma profeta inascoltato e solo, che allo
squillo tenorile sovente preferiva un piu disincantato mezza
voce. Ci si puo anche divertire con un giretto su YouTube, a
leggere i commenti degli anti-Kaufmann, poco entusiasti di
questo cavaliere appiedato e pensieroso.
Senza dubbio i
frequenti primi piani del dvd, che pure modificano
inevitabilmente lo spettacolo originario e ne alterano la
percezione, aiutano a capire meglio i pregi di una concezione di
questo genere: merito prima di tutto di Gatti, che domina
l’orchestra con grande arte (si ascolti la trasparenza dei
tessuti polifonici!) e la frena al punto giusto per evitare ai
cantanti improvvidi sgolamenti, ostili alle orecchie e in questo
caso anche agli occhi. Ma merito anche di un cast che entra in
quest‘organismo con delicatezza, portando allo scoperto le
radici liederistiche del canto wagneriano, le sottigliezze della
dizione, del fraseggio, della psicologia che si riverbera sulla
linea vocale. Prima giovanilmente sfacciato, poi disorientato,
infine disfatto dalla sua ricerca inesausta del Graal e troppo
sollecito delle sofferenze altrui per potersi mai atteggiare a
eroe: questo e il Parsifal di Kaufmann; accanto a lui ricordiamo
almeno il carismatico Gurnemanz di René Pape e l’Amfortas
intenso di Peter Mattei, con una dizione fra l’altro di evidenza
non comune; bene in parte anche il tenebroso Evgeni Nikitin come
Klingsor e Katarina Dalayman come Kundry. Le scene sono semplici
e senza ammennicoli inutili, a mutare il clima bastano i
cambiamenti del cielo, che si fa di piombo come i cieli dei film
di Murnau nei momenti piu tragici, rosseggia nel secondo atto
dietro alle rocce vertiginose del regno di Klingsor, si
rischiara al levarsi del Graal, ma non trova nella conclusione
il sereno sperato, conservando traccia indelebile dei drammi
precedenti.
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