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GB Opera, Dezember 2015 |
Nicola Lischi |
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Torre del Lago: Cerimonia di consegna del 44° Premio Puccini al tenore Jonas Kaufmann
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Auditorium Enrico Caruso, Gran Teatro Giacomo Puccini -
Cerimonia di consegna del 44° Premio Puccini al tenore Jonas Kaufmann |
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Torre del Lago, 18 dicembre 2015 Il colpo diretto, quello che avrebbe
potuto mettere a tacere tutta l’acredine delle polemiche estive sorte
intorno alla sua nomina a Presidente del Festival Pucciniano, Alberto
Veronesi ha sicuramente cercato di sferrarlo, anche se il risultato, per
quanto apprezzabile, non è stato di quelli tali da mandare definitivamente
al tappeto avversari e detrattori. L’annuncio, un mese fa circa, che Jonas
Kaufman, il tenore più richiesto e pagato del momento sarebbe venuto a Torre
del Lago per ricevere il 44° Premio Puccini era rimbalzato immediatamente
fra i vari social ottenendo vasta eco anche all’estero, effetto impensabile
per la stragrande maggioranza delle sonnacchiose edizioni degli ultimi anni,
con melomani subito dichiaratisi disposti a fare centinaia di chilometri e a
pagare un biglietto d’ingresso non indifferente pur di vedere il divo. E
appunto di vedere, e non di ascoltare, si è trattato. Capisco appieno la
delusione degli ammiratori, ma i comunicati stampa non avevano mai
menzionato la possibilità che il tenore avrebbe cantato. È comprensibile il
“wishful thinking, espressione intraducibile che però rende a meraviglia il
desiderio che avvenga qualcosa che si sa esser irrealizzabile o altamente
improbabile, degli ammiratori del tenore tedesco, ma era pressoché
inverosimile che Kaufmann aprisse bocca per cantare; la conferma si è avuta
dal comportamento della manager che pur non essendo sul palcoscenico
dirigeva l’azione con un linguaggio del corpo e gesti che non ammettevano
repliche. Prima dell’arrivo del premiato, arrivato con un’ora esatta di
ritardo a causa di un volo da Parigi non partito in orario (questa almeno la
versione ufficiale), il presentatore Enrico Stinchelli ha fatto buon uso di
tutta la sua esperienza per calmare ed intrattenere il pubblico certamente
non troppo ben disposto dopo che per un’ora intera era stato tenuto
all’oscuro di tutto; è venuto poi il momento dell’esibizione di un quintetto
di giovani artisti che hanno preso parte all’Accademia del Festival Puccini,
accompagnati al piano da Massimo Morelli. Fra loro il più maturo è parso il
baritono Raffaele Raffio che ha interpretato l’aria di Michele dal Tabarro
con bel timbro, fraseggio articolato e notevole senso ritmico. Le voci
gravi, è ben risaputo, non erano molto amate da Puccini, per cui la scelta
di un basso dovrà per forza di cose cadere su “Vecchia zimarra” dalla
Bohème, intonata con molte acerbità da Davide Mura; ancora più ristretto il
repertorio di un mezzosoprano, che ha costretto Carlotta Vichi a piombare
negli abissi del breve monologo della Zia Principessa in Suor Angelica,
davvero troppo grave per una vocalità ben emessa e sicuramente interessante
e da seguire, ma non del tutto a proprio agio in quelle profondità
contraltili. Considerato il profluvio di arie scritte per soprano, la
decisione di Francesca Cappelletti di cantare “O mio babbino caro” da Gianni
Schicchi è un po’ come se un soprano si presentasse ad un concerto dedicato
a Mozart con una delle arie di Despina: in ogni caso non è sembrata pronta
per la grande ribalta. Il tenore Simone Di Giulio, che ha offerto “Ch’ella
mi creda” dalla Fanciulla del West ha messo in luce un materiale naturale di
un valore che tuttavia necessita ancora di seria levigazione e messa a
fuoco. Alla fine della serata i cinque cantanti hanno interpretato una
riduzione del finale della Bohéme, a partire dal duetto Rodolfo/Marcello
sino alla conclusione, e data la mancanza di un altro soprano Carlotta Vichi
ha cantato i brevi interventi, tutti di tessitura medio grave di Musetta.
Nonostante quanto sia stato detto in palcoscenico, la prima Musetta non era
però un mezzosoprano: Camilla Pasini, la creatrice del ruolo, era infatti un
soprano che aveva in repertorio Violetta, Norina, Suzel e persino Tosca,
Elsa e Wally; probabilmente la confusione è nata dal fatto che una sorella
della cantante, Enrica, era stata un mezzosoprano di una certa fama (e per
finire, una terza sorella, Lina ebbe una buona carriera da soprano
wagneriano). L’altra offerta musicale è stata l’esecuzione di Sandro Ivo
Bartoli di “Piccolo Valzer”, un breve brano per pianoforte composto da
Puccini nel 1894 in occasione del varo della nave da guerra “Re Umberto”, e
che altro non è se non il Premio Puccini a Kaufmann“Valzer di Musetta”
staccato con un tempo ancora più lento, e poco più tardi riciclato in
Bohème. Nel frattempo era arrivato il divo, annunciato da un video di “E
lucevan le stelle” proiettato su un maxi schermo. Se non ha cantato, ha
comunque dimostrato di aver la lingua sciolta e una sorprendente padronanza
della lingua italiana, appresa, come ha ricordato, da piccolo durante le
numerose vacanze sulle spiagge italiane. Non si è risparmiato, dimostrandosi
abile conversatore non privo di uno spiccato senso dell’umorismo, ha
risposto a (quasi) tutte le domande di Stinchelli, che ha cercato di
strappargli dichiarazioni pro o contro il teatro di regia, cui Kaufmann ha
diplomaticamente dichiarato che secondo lui ci sono compositori come Wagner,
Mozart e Strauss che tollerano maggiormente allestimenti non tradizionali, e
che comunque anche per Verdi o Puccini, nonostante adesso si trovi in una
posizione di forza superiore a quasi ogni regista in circolazione, è sempre
disposto senza preconcetti a prendere in considerazione quello che gli
propongono di fare, aggiungendo che spesso il pubblico reagisce in maniera
diversa da quello che lui stesso aveva previsto, nel bene e nel male.
Altrettanta diplomazia ha dimostrato allorché Stinchelli ha ripetutamente
cercato di fargli dire il suo parere delle prestazioni dei giovani cantanti,
ed ha infine tenuto una breve masterclass sulla corretta emissione vocale e
sul controllo del fiato, svelando un piccolo segreto su come sia solito
riscaldare la voce (in pratica vocalizzi “muti” che lo portano in chiave di
soprano, l’unico momento in tutta la serata in cui si è sentita per qualche
frazione di secondo la preziosa voce cantata, o meglio mugolata). Alla fine
della premiazione, conferita dal sindaco di Viareggio Giorgio Del Ghingaro e
da Alberto Veronesi, Kaufmann non si è sottratto alla ressa di ammiratori,
facendosi fotografare e immortalare in “selfie”, ma, come mi è stato da più
parti riferito (io non sono andato sul palco) rifiutandosi di firmare
autografi sotto stretta sorveglianza della manager, nonostante le
rimostranze di alcuni spettatori che con i trenta euro spesi per l’accesso
avrebbero desiderato almeno un CD autografato. Per quanto mi riguarda
l’aspetto più stimolante dell’evento è stato il venire a conoscenza di
questa personalità da vero intrattenitore del tenore; il vero colpaccio
Veronesi potrebbe segnarlo convincendolo a eseguire un concerto durante il
Festival: c’è riuscito a suo tempo con Renée Fleming, quindi chissà…
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