La Stampa, 7/11/2009
ALBERTO MATTIOLI
Jonas Kaufmann - Professione tenorissimo
Viene dalla Baviera, ricorda molto Domingo, piace a tutti
E il 7 dicembre inaugura la Scala con una nuova “Carmen”
INVIATO A MILANO
In Italia tutti cercano il nuovo Pavarotti (sarà Francesco Meli?) ma si sono accorti solo adesso che il nuovo Domingo c’è già. Si chiama Jonas Kaufmann ed è tedesco, anzi bavarese. Ma per il resto ha molte delle sue caratteristiche: una voce scura, baritonaleggiante, preparazione musicale e presenza scenica entrambe ottime, un repertorio onnivoro (da Monteverdi al Novecento), la capacità di parlare - e cantare - in molte lingue e un’attrazione fatale per il don José della Carmen, che infatti Kaufmann canterà il prossimo 7 dicembre per l’inaugurazione della Scala. Per la verità, l’esperienza del Gran Baraccone di Sant’Ambroeus Kaufmann l’ha già vissuta, nel ‘99: ma nel Fidelio faceva la piccola parte di Jaquino, quindi praticamente nessuno si accorse del giovin tenore. Per lui, come per tutti gli stranieri e anche per molti italiani, resta incomprensibile il nostro sistema operistico: «Non so perché sia così difficile fare l’opera qui. Forse perché il governo cambia tanto spesso? Fatto sta che non si riesce mai a programmare per tempo. Dispiace che tanti teatri italiani meravigliosi siano oggi, a livello internazionale, un po’ in serie B».

Torniamo a Carmen. Lo scandalo è annunciato perché la Scala ha affidato lo spettacolo a Emma Dante, regista palermitana iconoclasta. Sembra già di sentire le care salme strillare perché non ci sono i tenori e le mantiglie. Da buon cantante tedesco che di regie ne ha viste di cotte e di crude, Kaufmann si stupisce dello stupore. «Ma Emma è fantastica! Naturalmente non la conoscevo perché non hai mai fatto l’opera, ma sono andato sul suo sito e trovo i suoi spettacoli molto interessanti. Poi è preparatissima e sa esattamente quello che vuole». Sui registi, del resto, è giudizioso: «Spesso hanno paura di non far vedere che ci sono anche loro. Certo che mi diverto di più a fare La traviata di Marthaler che quella di Zeffirelli. Ma credo che dovremmo tutti avere più fiducia nel potere della musica». Di questa benedetta Carmen, in ogni caso, non si riescono ad avere anticipazioni. Lei, per esempio, come sarà vestito? «Ah, non lo so, per il momento non mi hanno ancora provato nulla. Però posso dire che non sarò nudo».

Cosa che gli capita spesso. Con il Placidone dei bei tempi, Kaufmannn condivide anche un notevole fascino. Infatti damazze, sciure, fanciulle in fiore e gay che gravitano intorno alla Scala sono già agitatissimi per la contemporanea presenza in questa Carmen di lui-José e del palestratissimo Erwin Schrott-Escamillo (avviso per l’ultima categoria: sono entrambi saldamente etero. Kaufmann ha moglie e tre figli, Schrott ne ha appena fatto uno con la superdiva Anna Netrebko). Si sa: oggi i giovani cantanti d’ambo i sessi sembrano tutti appena scesi da una passerella... «Meglio così, no? Ma in realtà il discorso è più complesso perché tocca una caratteristica del nostro tempo: la mancanza di fantasia. I media ci mostrano tutto, forse troppo. E la fantasia muore. Abbiamo bisogno di vedere perché non siamo più capaci di immaginare. Così, noi dobbiamo essere belli per essere credibili. Ma io ricordo un duetto d’amore fra Pavarotti e la Caballé. Erano, come dire?, un po’ ingombranti e non si toccavano neanche, però cantavano talmente bene che era un duetto d’amore, accidenti se lo era...».

Insomma, viva i canori elefanti. «Non dico questo. Io curo il mio fisico perché credo che noi cantanti d’opera siamo anche degli attori. E dobbiamo cantare con la stessa naturalezza con cui si parla». Ma in scena lei fin dove può arrivare? L’abbiamo vista eseguire gli isterismi del Nerone dell’Incoronazione di Poppea al telefono, rotolandosi in mutande su una scrivania da top manager (a Zurigo, produzione - geniale - di Jürgen Flimm)... «Credo che non si debba mai dire di no a priori. Caro regista, spiegami quello che vuoi e io provo a farlo. Se ci riesco bene, se non ci riesco rinunciamo tutti e due. Per me, gli artisti si dividono in due categorie: quelli a cui il personggio serve per far emergere la propria persona e quelli che dimenticano la persona per il personaggio. Io spero di appartenere alla seconda». A proposito: i tenori continuano a odiare le primedonne? «Ma no, son cose vecchie (e giù una risata omerica che riempie la Sala Rossa della Scala, ndr)! Io ho cantato con tutte le dive, Fleming, Gheorghiu, Netrebko, Dessay e non ho mai avuto problemi. Né ne hanno mai dati loro a me». E questa sconosciuta debuttante che sarà Carmen, Anita Rachvelishvili, com’è? «È fresca, è naturale. Ed è troppo giovane per avere paura. Se le reggono i nervi, sarà una grande Carmen».

Intanto l’ascesa kaufmanniana prosegue. L’ultimo cd, arie d’opera tedesca dal Flauto magico al Parsifal, accompagnatore di lusso nientemeno che Claudio Abbado, foto glam di lui che fa il bel tenebroso dentro i quadri di Friedrich, è stato recensito benissimo ovunque. Nel futuro c’è Wagner? «C’è anche Wagner. Ma non soltanto. Perché se canti solo Wagner ti giochi flessibilità, morbidezza e legato. Così debutterò Siegmund, ma anche Werther. E poi farò Meistersinger, Trovatore, Chénier, Troyens». Ma l’Otello di Rossini come le ha chiesto Santa Cecilia (Bartoli) no? «Posso cantare molte opere. Tutte, no. E poi non voglio rinunciare al Lied». Quando la vedremo cantare Granada in uno stadio? Altra risatona: «Granada forse sì, perché è una bella canzone e l’ha incisa (in tedesco!) uno dei miei miti, Fritz Wunderlich. Ma allo stadio, no, non m’interessa. Allo stadio vado solo a tifare per il mio Bayern...».
Bildunterschrift: Jonas Kaufmann: "Glamour ma niente opera pop"






 
 
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