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Opera Click |
Silvano Capecchi |
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Wagner: Tristan und Isolde, Bayerische Staatsoper ab 29.6.2021
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Monaco di Baviera - Nationaltheater: Tristan und Isolde |
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È sempre un piacere varcare la soglia del Nationaltheater di Monaco di
Baviera, con la sua organizzazione perfetta, anche in tempi di Covid, che
non vede rallentato l’afflusso degli spettatori nemmeno col controllo
aggiuntivo del QR Code o del tampone antigenico richiesti per l’accesso. A
differenza del Festival di Aix-en-Provence, visitato pochi giorni prima, i
posti disponibili sono dimezzati con distanziamento tra uno spettatore e
l’altro, quindi con una garanzia aggiuntiva per quanto riguarda la sicurezza
sanitaria. Poi la sala mi mette di buon umore per i suoi colori che a me, in
dieta perenne, ricordano quelli di un’enorme bavarese alla fragola, decorata
con panna montata. Ma non è questa la sua caratteristica precipua
naturalmente, quanto un’acustica avvolgente, calda e al tempo stesso
dettagliata. Acustica che nel caso di Tristan und Isolde di Wagner, nuova
produzione della Bayerische Staatsoper viene particolarmente esaltata.
L’impianto disegnato da Malgorzata Szczęšniak delimita lo spazio scenico
tramite una struttura lignea (o simil lignea) con alcune aperture, alcune
delle quali possono essere chiuse da due grandi schermi che si abbassano
quando vengono fatte scorrere le frequenti immagini dei video ideati da
Kamil Polak. Il palcoscenico dunque è parzialmente ridotto e la zona entro
cui agiscono i cantanti è protetta, con indubbio vantaggio delle sonorità.
Contrariamente al recente Tristan und Isolde di Aix-en-Provence dove
accadevano fin troppe cose (vedi recensione) la regia di Krzysztof
Warlikowski fa della staticità, anzi dell’immobilità il suo carattere
distintivo. Fin dall’inizio, durante il canto del giovane marinaio, due
gabbiani fissi nel loro statico volo danno l’idea di quello che sarà
l’impostazione della messa in scena. I due protagonisti sono sempre lontani
o se si cercano non arrivano nemmeno a sfiorarsi. Durante tutto il duetto
del secondo atto sono seduti distanti e sono doppiati in un video in cui lei
si inoltra in labirintici corridoi di un albergo, poi entra in una camera e
si distende sul letto. Più tardi arriverà Tristan e si coricherà lui pure;
le loro mani sono vicine ma non si toccano: Poi la stanza verrà inondata di
acqua che arriverà a sommergere i due amanti. Quest’immagine riapparirà
verso la fine del Liebestod: vediamo che l’acqua si ritira mentre i due visi
si guardano accennando un sorriso. Poi ci sono tutta una serie di simboli,
talvolta poco decifrabili, come il giovane marinaio bendato che vagola per
tutto il primo atto, medicato da una Brangäne infermiera, e stramazza a
terra quando le trombe annunciano l’arrivo della nave in porto; o ancora il
divano simile a quello di Freud. Ancora: al terzo atto c’è la tavolata di
tredici persone alcune delle quali simili a pupazzi, (allusione all’Ultima
cena… o piuttosto a Tredici a tavola?...); Tristan è al centro del gruppo ed
è doppiato da un simil-bamboccio, accudito da Kurwenal, salvo riprendere il
suo ruolo durante la sua grande scena del delirio. Tutte cose che comunque
restano in parte irrisolte, non sempre hanno uno sviluppo. Tipico spettacolo
di Warlikowski, elegante ma algido e un po’ criptico, corredato dai costumi
di foggia moderna sempre a cura di Malgorzata Szczęšniak e dalle luci di
Felice Ross, con la collaborazione di Claude Bardouil (coreografia), Miron
Hakenbeck e Lukas Leipfinger (drammaturgia).
Si tratta dell’ultima
produzione del direttore artistico Nikolaus Bachler, che lascia la
Bayerische Staatsoper, l’ultimo grande spettacolo diretto da Kirill
Petrenko, in procinto di prendere le redini dei Berliner Philharmoniker e
del debutto nei rispettivi ruoli di due degli artisti più amati a Monaco di
Baviera, Jonas Kaufmann e Anja Harteros. C’era di che scatenare la corsa al
biglietto, tenendo anche conto del distanziamento degli spettatori che, come
già detto, in pratica dimezza la capienza del Nationaltheater, e dei tanti
spettacoli annullati a causa della pandemia. Dunque grande attesa e sala
esauritissima. Dirò subito che le aspettative sono state premiate da un
risultato artistico d’eccezione dal punto di vista musicale, anche superiore
alle più rosee previsioni. Inoltre, avendo io assistito alla quarta recita,
alcune riserve apparse nelle recensioni relative alla “prima” del 29 giugno
non hanno ragion d’essere in quando orchestra e solisti, superato l’impatto
del debutto, garantiscono una resa di livello superiore e tutto fila col
vento in poppa.
Kirill Petrenko non ha certo bisogno di dimostrare
niente. È uno dei più grandi direttori della nostra epoca, come avevo già
avuto occasione di constatare dal vivo, sempre qui al Nationaltheater, nei
Meistersinger, in Tosca, in Parsifal. Aveva già diretto Tristan und Isolde
nel 2011 a Lione con ottimi risultati, ma la sua interpretazione appare oggi
ancora più meditata e approfondita. L’Orchestra di Stato Bavarese, plasmata
dal direttore austro-russo, è in stato di grazia: precisione, trasparenza di
suono, varietà di colori, sono le caratteristiche che subito colpiscono. La
tensione non viene mai meno e l’attenzione dello spettatore è tenuta sempre
viva, tanto che le quasi quattro ore di musica scorrono senza che sia
possibile distrarsi e pensare ad altro che non sia quello che emerge dalla
fossa orchestrale e dal palcoscenico. Petrenko, in questo in sintonia con
Warlikowski, non brilla per i colori sensuali quanto per la forza e
l’energia distruttiva dell’amore, che tutto brucia, per l’inesorabile
potenza del destino di morte. Ma innumerevoli sono le oasi liriche che
rischiarano le tinte dell’opera, offrono tappeti sonori ai solisti, i quali
sanno sfruttare al meglio queste occasioni. I cantanti sono seguiti con
amore, mai messi in difficoltà, senza però che vengano risparmiati loro gli
scogli più perigliosi, né tantomeno che si opti per una lettura, come si
poteva pensare (o temere) in base alle scelte vocali, di tipo
simil-cameristico. E il palcoscenico risponde in modo sorprendente agli
stimoli del direttore, compresi gli irreprensibili gli interventi del Coro
dell’Opera di Stato Bavarese diretto da Stellario Fagone.
Per Jonas
Kaufmann, come già detto, si trattava di un debutto, anche se aveva cantato
il secondo atto in forma di concerto nel 2018 con Camilla Nylund e Andris
Nelsons, alla guida della Boston Symphony Orchestra. Per il 2020 era
annunciato anche il terzo atto con gli stessi interpreti, ma veniva
annullato per le note vicende sanitarie. La preparazione deve essere stata
lunga e minuziosa a giudicare dai risultati. Tra gli artisti che hanno
affrontato il temibile ruolo di Tristan ci sono stati senz’altro tenori
dalle voci più ricche e sonore di quella di Kaufmann. Ma sarei in grado di
accostarne davvero pochi al tenore tedesco per l’insieme di musicalità,
fascino scenico, resistenza vocale, coinvolgimento espressivo, che
specialmente al terzo atto tocca livelli di eccellenza tali da risultare
addirittura travolgente. Ma pure nei primi due atti non mancano certo
momenti di grande rilievo, come tutto il primo duetto, o l’”O sink
hernieder”, o ancora gli interventi dopo la grande scena di Re Marke.
Anja Harteros è Isolde e anche per lei si trattava di un esordio. Il
registro grave risulta un poco flebile ma sempre udibile, mentre nel centro
e nell’acuto la voce si espande meravigliosamente, anche se in due o tre
momenti appare al limite delle sue possibilità. Il soprano tedesco risolve
gloriosamente il primo atto, quello sul quale meno avrei scommesso, date le
caratteristiche vocali dell’artista, dando vita a un personaggio, altero,
percorso da una sottile inquietudine che a momenti sembra sfociare nella
nevrosi; agli antipodi della torrenziale certezza delle sonorità di Nina
Stemme, ascoltata pochi giorni prima a Aix-en-Provence. Ma l’ansia non
abbandona questa Isolde nemmeno nel resto dell’opera e sembra distendersi
solo nella parte centrale del duetto del secondo atto, in perfetto scambio
dialettico col deuteragonista. In definitiva una presa di ruolo di sicuro
rilievo che però vede la Harteros scomporsi leggermente e accusare un
momento di stanchezza proprio nel Liebestod.
Mika Kares è un Re più
cantato e meno declamato del solito. Voce sonora, morbida, figura imponente,
il basso finlandese impersona un Marke un po’ distante, lontano, chiuso in
un suo mondo, in linea con i dettami della regia.
In leggera
difficoltà nel registro acuto il Kurwenal di Wolfgang Koch, fin troppo
ruvido come caratterizzazione, e di grande impatto la Brangäne di Okka von
der Damerau, la quale riesce ad addolcire i suoi mezzi vocali privilegiati
nel richiamo del secondo atto.
Di qualità anche le parti minori:
Michael Plumb (Melot), Dean Power (Ein Hirt), Christian Rieger (Ein
Steuermann), Manuel Günther (Ein junger Seemann).
Successo al calor
bianco per tutti con, alla fine, ovazioni per oltre venti minuti, rivolte in
particolare a Petrenko, a Kaufmann e alla Harteros.
La recensione si
riferisce alla recita del 13 luglio 2021.
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