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Il Manifesto, 26.11.2021 |
Gianfranco Capitta |
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Verdi: Otello, Teatro San Carlo Napoli ab 21.11.2021
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Otello contemporaneo fra gelosia e tradimento, in uno scenario di guerra |
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In scena. L’opera di Verdi nelle mani di Martone, Mariotti e Palli, diviene una sorta di viaggio esperienziale |
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Non è semplicemente uno «spettacolo d’opera» l’Otello di Verdi che inaugura
la prima stagione del teatro San Carlo sotto la guida di Stéphane Lissner,
nuovo sovrintendente. È un’esperienza assai più complessa e ricca per lo
spettatore, grazie alla regia di Mario Martone, che può contare su grandi
interpreti e sul lavoro scenografico di Margherita Palli. Al pubblico potrà
infatti capitare di commuoversi, come oggi non accade spesso a teatro, e
ricordare e fantasticare, e forse anche «riflettere». Perché quella che
solitamente si tramanda come «la tragedia del Moro di Venezia», qui non ha
neanche il «Moro», ma proietta la tormentata vicenda in un oggi che (senza
particolari macchinerie o bizzarrie automobilistiche o televisive) ci
immerge dentro la vicenda, e ne amplia confini, interferenze,
responsabilità. Lo scenario è il mondo che viviamo, fatto di conflitti,
invasioni, stragi, e di soprusi e violenze, nei rapporti planetari come in
quelli di coppia di cui la cronaca è ancor piena, e che proprio in questi
giorni trova la sua pubblica condanna ed esecrazione (probabilmente un caso
la coincidenza, o una particolare sensibilità al tragico problema). Una
condizione in cui ci si sente soli e impotenti, schiacciati da rovine
incombenti (come quelle archeologiche in scena) con le quali ci sentiamo
sempre impreparati a misurarci.
UNA VICENDA d’amore, e di gelosia e
tradimento, in un scenario di guerra e di «invasione» (in nome della civiltà
veneziana certo, ma soprattutto di una cultura invadente e oppressiva) che
ci fa sentire le note di Verdi come assolutamente nostre e contemporanee. La
direzione d’orchestra di Michele Mariotti è in questo senso sicura e
avvolgente, nel rispetto dei picchi emotivi che la partitura costruisce: una
versione musicale di sentimenti che appartengono alla vita e all’orecchio di
tutti.
OTELLO NON è più un opulento guerriero rinascimentale dalla
pelle nera a Cipro, ma il comandante di un corpo di spedizione, e
occupazione, come ne vediamo ogni giorno. Un capo militare che sbarca in un
territorio di persone impaurite e violate, vittime di quella invasione
militare. Un esercito che non è detto sia «americano», ma certo somiglia
molto a quelli visti in Vietnam come in Afghanistan o in Iraq. Una visione
«normale» del nostro tempo insomma. Con tutte le implicazioni di carriere e
di invidie che si possono immaginare facilmente in un contesto rigidamente
gerarchico. Tanto più che Desdemona veste anche lei la divisa, aumentando
così i dati identificativi di un esercito dove esista quella apparente
«parità di genere», per quanto conceda facili divertimenti alla truppa per
allietarne la «libera uscita» dopo qualche successo sul campo. Ma tuttavia
l’ambientazione non condiziona né stravolge il racconto, non ci sono
forzature fantatecnologiche; unico elemento necessariamente adeguato è il
revolver che sostituisce la spada. Narrativamente la tragedia segue il suo
corso, che già il libretto di Arrigo Boito aveva asciugato rispetto
all’originale shakespeariano, avvicinandocelo non poco. E su questa onda
interviene la grandezza delle voci. A cominciare dal protagonista, Jonas
Kaufmann, voce eccezionale (definito il miglior tenore oggi nel mondo dal
Telegraph) e di non minore prestanza e presenza interpretativa.
DI
FRONTE a lui la Desdemona di Maria Agresta, bella, e grande interprete, che
nella decisiva Canzone del salice ci conduce ai vertici (e vortici) della
commozione. Ma anche di delusa indignazione, per quel delitto immeritato e
comunque ingiusto. Non sono da meno le altre identità forti presenti in
scena, dal bieco Jago, assassino per invidia (Igor Golovatenko), al Cassio
vittima della sua stessa ingenua ambizione (Alessandro Liberatore). Fino ad
una bravissima e puntuta Emilia (Manuela Custer) che quei «giochetti» di
puro potere scoprirà. L’opera di Verdi, nelle mani e nella sensibilità di
Martone e Mariotti (e Palli), diviene una sorta di viaggio esperienziale, e
anche la scoperta di vedere oltre la cronaca la radice profonda di credenze
e comportamenti. Senza mezzi rutilanti, ma con effetti travolgenti: un
esempio per tutti la tempesta iniziale in mare. Un «effetto» davvero
impressionante di fulmini e onde in tempesta, che poi si scoprirà creata da
buoni giochi di luce e da teli mossi ad arte. Una dimensione di puro e sano
«artigianato» teatrale, ma di grande impatto. Così come risulta anche il
coro di voci bianche che affianca quello adulto, e l’insieme tutto delle
masse artistiche del San Carlo. Che riscuotono alla fine un vero trionfo di
applausi (dopo qualche nostalgica protesta registrata al debutto).
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