Connessi all'Opera, 26 Ottobre 2020
Fabio Larovere
 
Konzert, Bologna, PalaDozza, 25. Oktober 2020

Bologna, PalaDozza – Concerto di Jonas Kaufmann
 
Quando Jonas Kaufmann attacca, come primo bis, “Non ti scordar di me”, è forte la tentazione di pensare che questo canto sia rivolto a chi, al governo, sembra essersi dimenticato del mondo dello spettacolo. L’ultimo concerto prima del nuovo Dpcm che chiude teatri e sale in Italia (almeno) fino al 24 novembre, per Bologna è un evento da ricordare. Non solo per l’incertezza che regna sul futuro, ma anche per la straordinaria qualità artistica di una serata che ha elettrizzato il pubblico che gremiva (nel rigoroso rispetto delle regole anti-Covid) il PalaDozza, casa temporanea del glorioso Teatro Comunale. Merito di colui che giustamente molti considerano “il” tenore per eccellenza del panorama lirico contemporaneo e che a Bologna ha offerto una prova maiuscola.

Certamente, Kaufmann era in ottima forma vocale, più che non al concerto di lunedì scorso alla Scala, quando avrebbe dovuto cantare Radamès in Aida e invece si è ritrovato protagonista di un recital in crescendo. Rimando a quelle considerazioni in merito alla tecnica del cantante tedesco, assolutamente personale e in certi punti discutibile (vedi la recensione). Nella serata felsinea, contrariamente che a Milano, complice forse anche la possibilità di provare adeguatamente con l’orchestra, Kaufmann ha fatto uno sfoggio addirittura sfacciato del suo indiscutibile carisma scenico, ipnotizzando il pubblico, salvo poi farlo esplodere in un delirio di applausi. In più, non ha abusato, come a Milano, del falsetto, arrivando invece in più punti a un’emissione vocale vicina alla mezzavoce, ed esibendo sempre acuti pieni e incisivi. Insomma: Kaufmann piega le proprie caratteristiche fisiologiche a fini espressivi, riuscendo nell’intento di essere artista a tutto tondo, complice un linguaggio gestuale asciutto ma sempre efficace, nel segno di un teatro musicale che è anzitutto teatro.

La serata si è aperta con la bellissima “Cielo e mar” da La Gioconda di Ponchielli, attaccata in pianissimo e poi svolta in un crescendo emotivo dove il bronzo della voce svaniva in un soffio di sognante abbandono. Con l’Improvviso da Andrea Chénier forte era l’impressione di trovarsi davanti a un giovane poeta animato da una sorgiva passione per la vita, l’arte, la politica, il cui canto, scolpito in una dizione precisa e tesa, era pure capace di morbidissimi affondi sensuali. Canto generoso – è proprio il caso di dirlo – nell’addio alla madre da Cavalleria rusticana, giocato sui chiaroscuri di un timbro comunque fascinoso messo a servizio di una formidabile forza comunicativa. Una fierezza a tratti sdegnosa, espressione di una solitudine introversa, generata dalla durezza del destino, eppure ferita da lancinanti affondi di romanticissima melanconia: così è il Don Alvaro di Kaufmann, cesellato in inflessioni e colori sempre diversi. Così anche il suo Radamès, altero e dolente, nell’incandescente duetto con Amneris del quarto atto di Aida.

Ma le emozioni più forti, il tenore le ha riservate agli ultimi brani in programma: un “Rachel, quand du Seigneur” ricamato su un filo di voce i cui armonici riempiono comunque tutta la sala, in una sorta di preghiera sussurrata a fior di labbro ove l’emozione è come raccolta e trattenuta, prima di esplodere nella perentorietà della conclusione. Col duetto finale di Carmen, Kaufmann ha offerto il ritratto di uno dei suoi personaggi più riusciti: il dominio del fiato gli consente un continuo gioco dinamico, in una notevolissima ricchezza di accenti ed emozioni che non scade mai nell’effetto gratuito, ma trova anzi controcanto in una recitazione asciutta e di potente efficacia scenica.

Molto bene ha fatto l’orchestra del Teatro Comunale, guidata con piglio da Asher Fisch, mentre il mezzosoprano Clémentine Margaine (chiamata a sostituire l’annunciata Anita Rachvelishvili, in quarantena causa Covid) ha esibito un timbro di indubbia ricchezza, messo a servizio di una bella musicalità, palesando tuttavia un qualche limite nell’intonazione e nell’articolazione delle parole (meglio comunque nelle pagine francesi che in quelle italiane, ça va sans dire).

Pubblico entusiasta e tanti bis: uno per il mezzosoprano (Seguidilla da Carmen) e ben quattro per Kaufmann (“Non ti scordare di me”, “E lucevan le stelle”, “Nessun dorma”, “Tu che m’hai preso il cuor”). E alla fine, sembrava che non si volesse più lasciare la sala.


















 
 
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