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giornale della musica, 09 agosto, 2015 |
di Alessandro Di Profio |
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Beethoven: Fidelio, Salzburger Festspiele, 4. August 2015
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Un festival chiamato evento |
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Ausschnitt zu Fidelio: |
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Una “prima” al festival di Salisburgo è senza dubbio un evento
mondano-sociologico in sé. La musica fa il resto. Gli smoking, abituali già
per una recita qualunque nella cittadina austriaca, pullulano, e i “Dirndl”,
arborato come se fosse un abito da sera, proliferano. In un paese in cui
ogni giorno i giornali dedicano almeno una pagina intera alla musica
classica, le televisioni sono in agguato all’ingresso, catturando immagini
degli invitati che, secondo la notorietà, devono aprirsi un varco tra
microfoni e taccuini. Insomma, Cannes non sembra lontano. E anche la “prima”
del Fidelio non ha fatto eccezione.
Tutti gli ingredienti erano
riuniti con tanto di disperati dell’ultima ora che agitano foglietti con
“Ich suche eine Karte”, sempre più logori con l’avvicinarsi dell’ora
dell’inizio dello spettacolo. Non mancava nulla e non di certo la star di
turno, quel Jonas Kaufmann il cui volto è a Salisburgo ovunque: dalle
vetrine degli orologiai a quelle dei negozi di musica. E la polemica Sony
versus Decca, alimentata personalmente dal tenore tedesco a colpi di
dichiarazioni su Facebook, per l’uscita in simultanea di due album dedicati
Puccini non ha fatto altro che aggiungere un po’ di salsa piccante. Insomma,
come perdersi questo Fidelio?
Purtroppo le speranze vengono
rapidamente tradite. Per colpa soprattutto (e quasi esclusivamente) del
regista Claus Guth, che aveva eppure firmato una travolgente trilogia
mozartiana zampillante di trovate geniali. Con Beethoven, invece, pare a
corto di idee. O meglio di idee ne ha solo una: anziché essere un’opera
della libertà, Fidelio è la celebrazione della prigionia da cui non c’è
scampo. Ecco allora spiegato perché non c’è happy end (l’eroe cade a terra
all’ultimo accordo) e perché un enorme blocco nero giganteggia sulla scena
sin dall’inizio. In teoria, questa trovata avrebbe potuto fornire una
lettura nuova. Purtroppo, non regge l’urto della scena, sgretolandosi assai
rapidamente. Dopo pochi minuti, tutto diventa ripetitivo, stantio e lo
stesso regista sembra non sapere come togliersi d’impaccio: il blocco nero
si alza e si abbassa nella scena della prigione, senza più alcuna logica né,
tantomeno, sorpresa.
Per altro, la versione dell’opera beethoveniana
prodotta è senza i dialoghi parlati, che sono stati tagliati per lasciare il
posto vuoi a rumori – che evocano quelli sordi di un enorme masso che ruota
– riprodotti da una registrazione vuoi da un’attrice sordomuta che, nel
linguaggio dei segni, traduce quello che il libretto avrebbe dovuto dire. Lo
spaesamento lascia rapidamente il posto alla noia. Anche perché i cantanti
si muovono in scena come vogliono, senza indicazioni registiche o così
almeno pare. Se certe regie si riescono ad evitare chiudendo gli occhi,
questa pregiudica a tal punto tutta la realizzazione musicale che è tutta
l’opera a pagarne le spese. Per il pubblico non resta che attendere la fine
per sommergere Guth di fischi. Come è accaduto, ovviamente. Anche gli
smoking, solitamente inappuntabili, hanno sonoramente reagito.
Peccato, perché quella di Kaufmann è stata un’esecuzione ineccepibile. Sia
stilisticamente, sia tecnicamente. Ed inoltre il tenore è pure un eccellente
attore capace di tradurre fisicamente la tortura e la sofferenza di
Florestan. Convince pienamente pure Adrianne Pieczonka che pare, però, più a
suo agio con i passaggi di forza drammatica che con quelli più melodici.
Impressionante, come al solito, il wagneriano Thomasz Konieczny, che ha
appena brillato nel Ring della Wiener Staatsoper con la direzione di Simon
Rattle: il suo è un Pizarro da antologia. Sotto la bacchetta di Franz
Welser-Möst, i Wiener hanno reso l’opera con tutta la forza e la virtuosità
di cui sono capaci. Specie l’esecuzione dell’ouverture “Leonora 3”
intercalata, secondo tradizione, prima della parte finale ha offerto un
concerto in sé di altissimo livello, che neppure la regia è riuscita a
mettere in pericolo. E sono in momenti come questo che si rimpiangono le
esecuzioni in versione da concerto.
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