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Mauro Mariani
 
Verdi: Aida, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Rom, 27. Februar 2015

Aida grandiosa e intima
 
Un trionfo per l'esecuzione in forma di concerto diretta da Pappano a Santa Cecilia
Roma si era illusa di poter ascoltare in questa stagione due diverse edizioni di Aida, dirette da quelle che probabilmente sono le due migliori bacchette verdiane attuali. Come è noto, l'Aida di Muti all'Opera è stata cancellata: è stato un trauma, ma è servito a farci capire che si può vivere anche senza questi lussi, che nessuno sa quando Roma e l'Italia potranno nuovamente permettersi. È rimasta l'Aida di Pappano all'Accademia di Santa Cecilia, che (seppure priva di scene e per un'unica recita riservata agli happy few: si fa per dire, erano 2.800 persone) è bastata a fornirci abbondante materia di godimento e di riflessione. L'Aida è (che scoperta!) un'opera complessa e difficile, per metà intima e raffinata e per metà esteriore e grandiosa, fino a sfiorare il kitsch. Antonio Pappano non ha cercato di ricondurre ad unità questi aspetti contrastanti, al contrario li ha portati al parossismo, forse con un'accentuazione particolare del lato grand-opéra. Soprattutto nei primi due atti ha puntato su quest'ultimo aspetto, senza temere gli eccessi, anzi lanciandosi sfrenatamente in sonorità possenti e in tempi eccitati, non solo nella scena centrale del primo quadro e nel "gran finale" del secondo atto, portati a un inaudito livello di esaltazione sonora, ma anche in buona parte delle scene nel tempio di Vulcano e nelle stanze di Amneris. Tuttavia anche nei momenti più parossistici Pappano ha mantenuto un controllo assoluto e ha perfettamente cesellato ogni dettaglio, anche quelli che generalmente si perdono perfino in esecuzioni più posate. Nel terzo e quarto atto ha voltato pagina. Restavano alcuni momenti di grande violenza sonora, come nella scena del giudizio, per esprimere ora non la trionfale grandiosità del mondo dei faraoni ma la sua durezza inesorabile. Agli altri momenti Pappano dava una delicatezza e una trasparenza miracolose, culminanti in una scena finale interamente realizzata con un filo di suono: sublime! Ha avuto la totale collaborazione del magnifico coro istruito da Ciro Visco e dell'ottima orchestra, tra cui vogliamo segnalare almeno la spalla Roberto González-Monjas e il flauto Andrea Oliva. Il cast era assemblato con i criteri commerciali della grande casa discografica che nei giorni precedenti aveva inciso l'opera. Non è sembrato un caso che i due protagonisti non avessero mai affrontato l'Aida in precedenza. Anja Harteros ha dato alla schiava etiope una linea di canto pura e nobile, intima ed emozionante, ma non sempre la voce l'ha sorretta, particolarmente negli acuti. Anche Jonas Kaufmann non era totalmente a suo agio nelle vesti di Radames, ma nel complesso ha vinto la scommessa con ampio margine. Molto bene Erwin Schrott, nonostante non abbia il colore scuro ideale per Ramfis in alcuni momenti. Ottimo Ludovic Tézier, che ha dato una caratura stilistica di gran classe ad Amonasro. Vocalmente disordinata ma temperamentosa la Amneris di Ekaterina Semenchuk. Un mare di applausi ha salutato quest'esecuzione, con alcune contestazione ingenerose ma isolate per la Harteros.
 
 
 
 






 
 
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