|
|
|
|
|
Il Corriere Musicale, 15 aprile 2014
|
Luca Chierici |
|
Schubert: Winterreise, Milano, Teatro alla Scala, 14. April 2014
|
Ogni generazione ha la «Winterreise» che si merita |
|
Era un recital molto atteso: il più popolare dei cicli di Lieder schubertiani è stato eseguito con successo al Teatro alla Scala da Jonas Kaufmann e Helmut Deutsch
CON UN ABBRACCIO FRATERNO E COMMOSSO tra i due protagonisti, gesto che
aggiungeva ulteriori emozioni per un pubblico del tutto soggiogato da una
serata davvero irripetibile, si chiudeva 36 anni fa alla Scala una
memorabile Winterreise con Fischer-Dieskau e Sawallisch, tra le cose più
belle che conserviamo nei nostri ricordi. L’abbraccio, l’altra sera, non c’è
stato, sostituito da una cordiale stretta di mano tra Jonas Kaufmann e
Helmut Deutsch, officianti un rito che si dovrebbe ripetere molto più spesso
e che il teatro aveva ospitato cinque anni fa attraverso la presenza
anch’essa eccezionale di Thomas Quasthoff e Daniel Barenboim. Il percorso
seguito dai due artisti nel dipanare i misteri del capolavoro schubertiano è
di tale intensità spirituale da giustificare un gesto finale di affettuoso,
reciproco ringraziamento. Ma al termine del concerto di canto di lunedì
scorso, nonostante la temperatura e la durata degli applausi rivolti ai
protagonisti, più che il risultato di un cammino iniziatico si coglieva la
buona riuscita di un recital molto atteso e affrontato con i mezzi di una
ricercata professionalità.
Prima la musica, dopo le parole, verrebbe
da pensare considerando il valore dei versi pure ispirati di Wilhelm Müller
se confrontati con l’immediatezza di un messaggio musicale vertiginoso come
quello uscito dalla penna di Schubert tra febbraio e ottobre del 1827. La
tonalità della morte che apre la raccolta – re minore, la stessa del famoso
Quartetto di tre anni precedente – domina indiscussa quell’anno fatale che
vede la scomparsa di Beethoven (il 26 marzo) e anche di Müller (il 30
settembre) e la morte è il vero filo conduttore di un ciclo di Lieder che
non lascia spazio a commento alcuno. Winterreise è congegnato in modo tale
che fin dall’apertura del primo Lied si possano intuire a sufficienza le
doti interpretative e strumentali del pianista: nel nostro caso Helmut
Deutsch ha scandito con troppa rigidità il pur meccanico incedere del
protagonista del viaggio d’inverno, un percorso che ha stentato a prendere
forma per una buona decina di minuti. Quelli che sono stati necessari anche
per abituare l’orecchio al modo di porgere di Kaufmann, che ha giocato
troppo sull’alternanza tra passaggi a voce piena e sussurrati. Questi
ultimi, predominanti, diventano veri e propri falsetti nella regione acuta,
rendono spesso incomprensibile la ricezione del testo, disturbano la
naturalezza del fraseggio. Una tecnica e uno stile interpretativo che ci è
parso fin troppo ricercato e che sconfina nel manierismo, celando in buona
parte i fondamenti di un messaggio musicale più sincero. La lettura da parte
dei due protagonisti è proseguita con più sicurezza e maggiore
coinvolgimento, ma nei momenti tradizionalmente più noti del ciclo il
ricordo di altre interpretazioni memorabili si affacciava prepotentemente
all’attenzione. Ogni generazione ha la Winterreise che si merita, si
potrebbe dire, e in questo momento i meccanismi che sovraintendono al
mercato hanno imposto al pubblico un prodotto che sulla carta era fatto
apposta per riscuotere grande successo, cosa che puntualmente è avvenuta.
Nessuno ci toglie dalla testa che Winterreise trovi nella tessitura
baritonale il proprio veicolo espressivo di elezione (anche se pare che la
stesura originale fosse stata pensata per la voce di tenore). E se certo
fascino timbrico del Kaufmann meno “controllato” si faceva comunque
apprezzare, a volte ci è sembrato scorgere sul palcoscenico più un Manrico o
un Don Carlo che un disperato e congelato wanderer.
|
|
|
|
|
|
|