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Giornale della musica
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Stefano Nardelli |
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Verdi: Don Carlo, Salzburg, August 2013
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Trovatore al nero |
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L’opera verdiana a Monaco con Kaufmann e Harteros
Produzione di punta della generosa estate operistica della capitale
bavarese, questo “Trovatore” è il trionfo che già si annunciava, nonostante
non poche debolezze. Fra queste va messa la regia di Olivier Py, che
affastella di presenze e simboli spesso oscuri la cupissima e già
sovraccarica scena di Pierre-André Weitz – un insieme complesso di teatrini,
lamiere annerite di fumo e ruote meccaniche in movimento come nelle sculture
mobili di Tinguely. Per un libretto fatto sostannzialmente di racconti, Py
non risparmia nulla all’occhio dello spettatore con insistenza quasi
didascalica e un gusto che scade spesso nel macabro, raggiungendo il
parossisimo nella pantomima ginecologica che apre la terza parte dell’opera,
puntualmente sanzionata da buh a scena aperta. E così soccombono anche
qualche buona intuizione e un taglio originale ma non gratuito nel disegno
dei personaggi (il legame morbosamente incestuoso fra Azucena e Manrico, la
cecità di Leonora che ama una voce, la blasfema violenza di Luna). Anche sul
piano musicale le zone d’ombra non mancano. Del quartetto protagonista, solo
Harteros passa a pieni voti, e non solo per l’indubbia bellezza della voce
ma soprattutto per ricchezza di fraseggio e intensità interpretativa. Le
straordinarie e generose doti espressive di Kaufmann brillano quanto mai nel
suo Manrico, ma se nel canto di forza l’emissione è impeccabile, difetta
molto nei piani e nelle mezze voci. Quanto a Markov la voce è buona ma manca
di colori e l’istrionesca Manistina ha una dizione quanto mai personale. Che
Verdi sia un genio lo si capisce soprattutto dalla direzione di Paolo
Carignani, giocata nel segno dell’eleganza e della cantabilità ma capace di
far balenare il fuoco quando deve. Ottima l’orchestra, un po’ impreciso il
coro. Si replica a novembre.
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