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Giornale della Musica, 08/12/2012 |
Stefano Jacini
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Wagner: Lohengrin, Teatro alla Scala, 7. Dezember 2012
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Lohengrin o della psicanalisi
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Successo alla Scala che apre con Wagner riletto da Claus Guth |
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Basterebbe l'incanto di "In fernem Land" cantato da Jonas Kaufmann e
sostenuto da una orchestra eterea controllata in ogni particella da Daniel
Barenboim per ricordare questo "Lohengrin" che inaugura la stagione
scaligera. Ma andrebbero segnalati anche i preludi, le cupezze del
secondo atto, la crescente tensione del duetto del terzo, insomma dal punto
di vista musicale un'edizione di primissimo piano, con un cast da cui emerge
la coppia protagonista: oltre a uno splendido Kaufmann nel ruolo a lui più
congeniale, Annette Dasch nei panni di Elsa, che ha sostituito all'ultimo
Anja Arteros, a sua volta sostituita da Ann Petersen nell'anteprima per i
giovani (entrambe stroncate dai virus aleggianti al Piermarini). Un
rimpiazzo felice perché Dasch, già Elsa a Bayreuth, ha forse una voce
flebile per lo spazio del Piermarini, ma elegante e duttile, e in compenso
una padronanza della scena da grande interprete. Ingenua, tenera, caparbia.
Re Enrico è il sempre autorevole René Pape. Corretta Evelyn Herlitzius come
Ortrud, pur se più biliosa che veggente vendicatrice, mentre Tomas Tomasson
come Telramund è vocalmente il più debole dei cinque.
Quanto alla
messa in scena, va riconosciuto che lo spettacolo è bello visivamente e
coerente con l'ambientazione ottocentesca: un'archeologia industriale
posticipata di una cinquantina d'anni rispetto alla data di composizione.
Coerente anche la lettura psicanalitica della vicenda. Claus Guth è un
regista che non vuole ascoltare la favola di Wagner, secondo lui il
cavaliere misterioso e il cigno diventano proiezioni di Elsa, pure il
fratellino scomparso e magari tutti gli altri. Così a Lohengrin tocca una
specie di nascita da cigno in proscenio. Ora si atteggia a volatile
spastico, svuotando le tasche piene di penne, ora gioca al ragazzo selvaggio
scalzo, dimentico della sua eroicità (alla quale talvolta è costretto dalla
partitura). Quando indossa scarpe e frack per sposarsi, appena può se ne
libera per bagnare i piedi nella Schelda. Da parte sua Elsa vanta un suo
doppio da bambina, vittima delle angherie della maestra di musica Ortrud che
la bacchettava quando sbagliava al pianoforte. Strumento posteggiato in
scena a catalizzare i meandri della psiche, dove spesso si perde Elsa quando
non stramazza sopraffatta dall'isteria. Nella confusione mentale della
protagonista, materializzata in palcoscenico, il cavaliere, il cigno, il
fratellino scomparso diventano un tutt'uno. Quest'ultimo compare spesso con
un'ala posticcia e anche lui dispone di un suo doppio bambinetto, ora
cadaverino portato al cimitero (a illustrare il terrore di Elsa di averne
provocato la morte), ora soldatino con la spada di legno che tiene per mano
la sorellina. Il legame fra loro è talmente forte che alla fine Elsa lo
chiama "mio sposo" (contrariamente alle disposizioni di Wagner), prima di
annegarsi come Ofelia e suggerire così un risvolto incestuoso anticipatore
di "Valchiria". In sostanza Guth arricchisce talmente la trama da renderne
ardua la decriptazione (formula appropriata alle chiacchiere nel foyer ma
inadatta ad attirare un nuovo pubblico giovanile) e finisce per vanificare
alcuni momenti drammaturgicamente forti: come a esempio l'invocazione agli
dei spodestati, solitamente da brivido, ma qui sprecata da una Ortrud
accovacciata su una scrivania.
Accantonata la tesi dell'impossibilità
di un'unione fra la trascendenza e la realtà umana a favore dell'analisi del
profondo, la morale della non favola pare proprio contraria all'intenzione
del regista: guai sviscerare una turba psichica, meglio lasciarla sepolta
dove sta, altrimenti son guai.
Al termine grandi ovazioni per
tutti, specie per Annette Dasch arrivata in teatro a provare la mattina (e
in partenza definitiva per Berlino la sera stessa) e per Jonas Kaufmann.
Gli applausi agli interpreti sono stati poi interrotti dall'esecuzione
dell'inno nazionale col coro in palcoscenico, per ovviare alla gaffe del
teatro che non l'aveva fatto suonare all'inizio (stigmatizzata dal ministro
Passera, arrivato col premier Monti nel palco reale). Altra sostituzione
della serata, escogitata all'ultimo momento, che forse ha protetto Guth dal
pericolo di qualche contestazione.
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