Giornale dei lavoratori, 22/02/2011

Alessandro Mormile

Puccini: Tosca, Milano, 20.Februar 2011

Alla Scala una Tosca di ottimo livello
 
Grande prova del tenore Kaufmann e sorprendente direzione d’orchestra di Wellber
 
Milano, 20 febbraio 2011 - Addirittura un abbozzo d'applauso di sortita, invero subito stroncato sul nascere, ha accolto l'ingresso in scena del tenore tedesco Jonas Kaufmann, finalmente ristabilito dopo l'indisposizione che gli aveva impedito di essere presente – nonostante fosse attesissimo da pubblico e critica – per la prima di Tosca di Giacomo Puccini andata in scena al Teatro alla Scala.

Ma andiamo con ordine, perché non vogliamo che questa edizione scaligera, e nello specifico la recita del 20 febbraio della quale riferiamo, sia unicamente la consacrazione degli alti meriti vocali ed artistici che fanno di Kaufmann il tenore più glamour dell'attuale scena lirica. Questa Tosca ha dato anche modo a uno dei cosiddetti «baby direttori», Omer Meir Wellber, israeliano di soli trent'anni, di confermarsi fra i massimi talenti del podio del momento. Si avvertono ancora squilibri sonori che possono lasciare perplessi, ma la tensione teatrale impressa dalla sua concertazione, oltre che la varietà dei colori e il senso del fraseggio, fanno della sua direzione d’orchestra un indubbio polo di attrazione dello spettacolo.

Ed è un piacere ammirare come Wellber abbia messo a suo agio il divo-tenore Kaufmann, la cui eccezionale prestazione, nei panni di Cavaradossi, va salutata col massimo entusiasmo. La sua voce, dal colore scuro, ma non per questo priva di sicurezza nel settore acuto (vibrante ed elastico), si sposa al fascino di una presenza scenica seduttiva e carismatica, nonché alla ricchezza di un fraseggio espressivo e tornito sul significato della parola al punto da rendere la sua interpretazione rifinita in ogni frase e gesto. Vi sono momenti eccelsi, come il bel legato di «Qual occhio al mondo» o le mezzevoci di un «E lucevan le stelle» che da anni non si sentiva eseguire in maniera così sfumata, coniugando la virilità del timbro con l'estasi dell'abbandono amoroso. Per non parlare di un «O dolci mani mansuete e pure» da antologia. Nessun tenore al mondo penso oggi lo eguagli, perché Kaufmann è anche un musicista con i fiocchi, rigorosissimo nel rispettare i segni d'espressione pur nell'apparente libertà di un fraseggio comunque accuratissimo, originalmente moderno e per questo assai teatrale, così da farlo entrare nel vivo del dramma col pieno rispetto delle ragioni della musica.

Il livello del restante cast non è certo alla sua altezza, ma non tale da essere penalizzato dal “buare” di alcuni loggionisti, indirizzato soprattutto al giovane soprano ucraino Oksana Dyka, già presa di mira, su questo stesso palcoscenico, di dure contestazioni nei recenti Pagliacci di Leoncavallo, ora passata, nei panni di Tosca, ad un ruolo dove la personalità indubbia dell'interprete, anche se ancora da affinare, risponde alle caratteristiche di una voce importante ma troppo spinta. Il suo «Vissi d'arte», senza la capacità di smorzare i suoni, commuove poco e risulta alquanto rigido e freddo, ma nell'insieme la sua prestazione non è da censurare in toto.

Lo stesso Zeljko Lucic è uno Scarpia espressivamente tagliato con l'accetta su un materiale vocale vigoroso e solido. Peccato solo che il carattere mellifluo e sibillino del personaggio venga meno e perda in lui la subdola vocazione al raggiro dinanzi ad una vocalità che punta più alla tracotanza di una personalità tutta esteriore e poco sfaccettata.

Dello spettacolo di Luc Bondy, già visto sugli altrettanto importanti palcoscenici del Metropolitan di New York e della Staatsoper di Monaco, si ammira non tanto la visione un po' neutra del primo atto, con quei muri di mattoni a vista che sanno ben poco di chiesa, quanto il secondo, con quell'interno che trasforma Palazzo Farnese nel postribolo per i piaceri di Scarpia (con tanto di escort!), in un ambiente che occhieggia più alla contemporaneità che al primo Ottocento. Spiccano alcune belle idee registiche, come quella in cui Tosca, dopo aver perso il senno per aver assassinato Scarpia, sembra tentare il suicidio buttandosi dalla finestra, ma subito si ravvede per finire col perdere i sensi sul divano, come se l'effetto del delitto avesse provocato nella sua mente uno sconquasso psichico confluito in crisi epilettica.

Spoglio l'ultimo atto, ma a suo modo suggestivo. A conti fatti una Tosca di ottimo livello, ma alla prima, come alla recita della quale riferiamo, non sono mancate contestazioni da parte di un loggione che – ci sia concesso – comincia ad avvelenare l’aria e a rendere irrespirabile e teso il clima di ciascuna recita. Quasi che la Scala fosse uno stadio dove si scontrano le fazioni di tifoserie opposte. Che siano smanie di protagonismo di pochi facinorosi? C’è da esserne certi!
 






 
 
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