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Teatro.org, 29/01/2010 |
Ilaria Bellini |
Massenet: Werther, Visto a Parigi, Opéra Bastille, il
23/01/2010
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All'ultimo respiro
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Il Werther nella rara versione per baritono era
stato uno degli spettacoli più riusciti della passata stagione ma ora il
capolavoro francese torna alla Bastille in una nuova produzione con Jonas
Kaufmann protagonista: nessun altro Werther ci sembra più possibile.
L’allestimento scelto da Nicolas Joel è quello del Covent Garden firmato da
Benoît Jacquot, cineasta che si è anche cimentato con il film-opera (Tosca
con Alagna – Gheorgiu) e di cui si coglie l’approccio cinematografico nei
tagli delle inquadrature, nella gestualità adatta ai primi piani e nel
ridurre gli effetti, lavorando sull’impressione piuttosto che
sull’espressione. In una regia che procede per sottrazione anche le scene
originali di Charles Edwards sono state depurate e le vedute calligrafiche
dello sfondo (la chiesa del borgo) sono state sostituite da un grigio cielo
nuvoloso che accentua il vuoto e l’impossibilità e annega in una luce fredda
la storia di una passione soffocata. Il regista si concentra
sull’interiorizzazione del sentimento che traspare nel gesto trattenuto e
pudico, nel passo esitante, nella mano che vorrebbe stringere ma non osa, la
bocca che vorrebbe baciare ma la morale lo vieta. Si respira una sensazione
di azione bloccata e nella falsa quiete dell’interno borghese cinereo, dove
Charlotte rilegge la lettera alla luce della finestra come in un quadro di
Vermeer, la felicità negata va dritta al cuore. Nella sobrietà scenica si
ravvisano elementi funzionali alla narrazione e alla progressione temporale
per lo svolgersi del dramma: un muro d’edera per il giardino a primavera, il
sagrato coperto di foglie morte, una tormenta di neve nella notte di Natale.
Alla fine, come in un film, vediamo in lontananza nel buio una soffitta dove
giace Werther ai piedi di un letto. La soffitta si avvicina mentre fuori
infuria la neve e Charlotte in una corsa disperata attraverso la platea (con
un senso cinematografico del racconto in quanto lo spettatore intuisce per
primo che è troppo tardi), sparisce fra le quinte prima di entrare nella
camera che li vedrà per la prima e ultima volta uniti.
Jonas Kaufmann regala la sua interpretazione migliore, confermando una
perfetta identificazione con il poeta romantico tormentato e fragile, bel
tenebroso dai ricci scomposti, introverso e inibito.
Ma Kaufmann “è” Werther anche vocalmente, per averne assimilato lo stile e
l’intonazione, per i passaggi perfetti e struggenti ed il controllo dei
fiati che depurano il personaggio di Massenet dall’enfasi larmoyante di
facile effetto, rendendolo intenso ed espressivo. Splendido come “A ce
serment restez fidéle, moi j’en mourrai” si spenga sulle labbra come un
soffio per esprimere un dolore talmente improvviso e indicibile da togliere
il fiato per poi esplodere in “Un autre son époux “ potente ed isterico.
“Lorsque l’enfant revient d’un voyage“, interiorizzato come un Lied, ricorda
il malinconico andare incontro alla morte della Winterreise, come del resto
il finale, un canto struggente che si spegne in un mormorio impalpabile e
noi moriamo con lui in una “Werthermania” di ritorno.
Anche Sophie Koch è una Charlotte ideale per la figura slanciata dalla vita
sottile, i lunghi capelli bruni, lo sguardo profondo, l’apparenza riservata
e pudica che tiene a freno il sentimento. La perfetta dizione e la
musicalità eccellente contribuiscono alla riuscita del ruolo con un canto
sorvegliatissimo, quasi spoglio nella sua ascetica semplicità, ma sempre sul
punto di esplodere come in “Va laisse couler me larmes” per scoprire
l’abisso di una passione che brucia.
Ludovic Tèzier (il Werther baritono della precedente edizione) è interprete
di eccezione del repertorio francese per il gusto della mezza tinta, la
perfezione della linea e dell’articolazione. La pulizia del canto si
riflette in un Albert nobile e controllato che lascia trasparire dietro un
contegno formale l’agitarsi di sentimenti contrastanti.
Da seguire la Sophie di Anne –Catherine Gillet per la voce luminosa e ben
proiettata e la fresca presenza.
Ritroviamo Alain Vernhes, un Bailly di lusso di voce ampia e perfetta
dizione. Corretti Andreas Jäggi (Schmidt) e Christian Tréguier (Johann).
Michel Plasson, specialista del repertorio francese e di Massenet in
particolare, di cui ha consegnato al disco interpretazioni di riferimento,
torna dopo tanti anni all’Opéra di Parigi per riaffermare la sua idea di
Werther con una lettura intimista e sfumata, intrisa di poesia e trattenuta
emozione. Una direzione decisamente lenta, giocata sulle mezze tinte e sulle
nuances per cogliere “les intermittences du coeur” all’interno della curva
melodica e privilegiare sonorità delicate e impalpabili che solo a tratti,
sotto l’impeto della passioni, si dilatano in poderose onde sonore come nel
toccante preludio del IV atto.
Un pubblico rapito, con il fiato sospeso per l’emozione, ha preferito non
applaudire per tutta la rappresentazione per non interromperne la magia
esplodendo solo alla fine in un applauso infinito.
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