Il Paese, 11/07/2008
Carlo Rezzonico
Bizét: Carmen, Zurigo, 28/06/2008
Singolare edizione della “Carmen” a Zurigo
Quando una cantante famosa internazionalmente affronta per la prima volta un personaggio di grande rilievo gli spettatori accorrono a schiere. È quanto sta succedendo all’Opernhaus di Zurigo, dove Vesselina Kasarova ha esordito nella “Carmen”. La sua interpretazione presenta una gitana che sul piano vocale tende alle sfumature, ai chiaroscuri e alle sottigliezze mentre sul piano dell’azione scenica è intessuta di moine, mossette e allusioni. Ne risulta una Carmen spesso trasognata, svagata, pensosa, incerta e dallo sguardo assente. Il personaggio non manifesta sensualità, sfrontatezza nè procacia, al massimo seduce o cerca di sedurre con accenni di erotismo. In tutta la “habanera” assume un aspetto angelicato, poco dopo non scaglia il fiore contro Don José ma lo lascia cadere ai suoi piedi, quando vagheggia una vita sulle montagne con l’uomo amato diventa perfino svenevole. Nell’ambito di questa impostazione meticolosissimo è stato il lavoro della cantante, che non ha mai allentato, neppure per un attimo, lo sforzo interpretativo.

Dal canto suo Jonas Kaufmann fa di Don José un uomo distrutto fin dal primo atto, stordito, nervoso e incapace di coordinare le sue azioni. Anche lui modera molto i toni. Al termine della romanza del fiore si inginocchia davanti a Carmen in un atteggiamento implorante (un bel momento registico) e conclude il pezzo, compreso l’acuto finale, a mezzavoce. All’inizio del secondo quadro del terzo atto, per citare un altro caso, canta per un lungo tratto a fior di labbra. Il Kaufmann si distingue tanto da certi tenori effeminati francesi, più Conti di Almaviva che Don José, quanto dalla maggior parte dei tenori italiani, propensi ad esibire prestazioni atletiche e a sfoderare un acuto fortissimo, appunto, al termine della romanza del fiore. Dotato di una voce solida, d’un bel colore scuro al centro, squillante negli acuti, a metà strada tra il lirico ed il drammatico, ma capace anche di assottigliarla in pregevoli pianissimo, questo cantante sembra avviato ad una carriera importante.

Dal podio Franz Welser-Möst non manca di produrre qualche vampata passionale, ma i brani che gli riescono meglio sono quelli raffinati.

Al regista Matthias Hartmann fu domandato che cosa occorresse per “Carmen”; rispose, secondo quanto sta scritto sulla rivista dell’Opernhaus, con un provocatorio “niente”. Lo scenografo Volker Hintermeier deve averlo preso alla lettera, visto che ha quasi completamente soppresso le scene. Tutto è affidato ai movimenti e ai gesti dei cantanti e del coro, con un impegno sicuramente considerevole, secondo le linee interpretative di cui si è detto. Qualche eccesso sarebbe stato opportuno evitarlo: ad esempio nel primo atto le guardie diventano così aggressive con Micaela da toglierle una parte delle vesti e costringerla alla fuga, portando sull’orlo dell’oscenità un episodio concepito come gentile e galante.

In generale tuttavia si è visto uno spettacolo notevolmente coerente, sia nella direzione musicale e nelle prestazioni dei cantanti, sia nel lavoro del regista e dello scenografo, ma che fa sorgere qualche domanda. Una Carmen così domata e talvolta perfino ridotta a buona figliola è credibile in una vicenda che la vede operare come seduttrice irresistibile e in una partitura musicale ridondante di passione e colore? Ad esempio per la sortita del personaggio Bizet mira alla sua caratterizzazione netta e immediata nonchè al grande effetto teatrale con una versione rapida e stringente del motivo del destino: ha senso che in quel punto Carmen rimanga immobile, spiritualizzata, come rapita in estasi? Va aggiunto d’altro lato che i mezzi della Kasarova (voce buona, ma di volume piccolo, che sugli acuti si tende e diventa fissa, con qualche problemino di intonazione) probabilmente non avrebbero consentito una interpretazione conforme alle caratteristiche fondamentali dell’opera.

Lo spettacolo zurighese ha in ogni caso il merito di far riflettere se esista una alternativa alle Carmen tradizionali, ad esempio quella, indimenticabile per esuberanza e spregiudicatezza, ma anche per saldezza di carattere e dignità, della Simionato. La Baltsa, che interpretò l’opera a Zurigo ma che io vidi alla Scala, tentò una via nuova esasperando e involgarendo il personaggio in modo disgustoso. La Kasarova è andata all’estremo opposto.
 






 
 
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