Classic Voice, novembre 2012
Anna Franini
 
Eroe per caso
 
Jonas Kaufmann, 43 anni, di Monaco, è il tenorissimo d'ultima generazione. Un cantante completo. Ha voce, testa, presenza scenica, un equipaggiamento coltivato gradualmente: con teutonica pazienza. Perché Kaufmann non è l'enfant prodige del canto. È diventato Kaufmann, quindi un fiorire di scritture, collaborazioni e cachet di lusso, dopo il trionfo al Metropolitan di New York nel 2006. Non era destinato al canto, del resto. Il padre lo voleva matematico. Ma lui, a un certo punto, accantonò teoremi ed equazioni, e a 25 anni si diplomava con lode in canto nella sua città. Si faceva le ossa nello Staatstheater di Saarbrucken, quindi debuttava a Stoccarda e Amburgo. Era così pronto per l'espatrio. Nel 1999 esordiva al Festival di Salisburgo, nel Doktor Faust di Ferruccio Busoni, poi iniziava a lavorare nel teatro di Zurigo. La Scala aveva messo gli occhi su questo tenore ancora in epoche non sospette, affidandogli una particina nel lontano 7 dicembre 1999 (Jaquino in Fidelio). Il grande exploit scaligero lo si ebbe con Kaufmann nel ruolo di Don José, nella Carmen del Sant'Ambrogio 2009. Un successo, il suo, che rompeva la catena dei . . sui tenori della prima della Scala fra Radames (Roberto Alagna) furenti che abbandonano le scene in corso d'opera e Don Carlo (Giuseppe Filianoti) licenziati a poche ore dal debutto.

Kaufmann torna il 7 dicembre nei panni di Lohengrin, in una produzione di Claus Guth, con René Pape nel ruolo di Heinrich der Vogler, Anja Harteros in quello di Elsa, Tomas Tomasson come Friedrich von Telramund. Dirige Daniel Barenboim.

Che Lohengrin ha in testa Guth?
"Non ho idea. Anzi sono curioso. Ha fatto tante cose interessanti, non è uomo da regie tradizionali, ma non è neppure uno che scherza con l'opera. Abbiamo lavorato assieme nel 2005, a Zurigo, in Fierrabras di Schubert, ne venne poi tratto un dvd (pubblicato da "Classic Opera", ndr). Ho un ottimo ricordo. A dire il vero, le nostre strade si erano già incrociate durante gli anni di studio a Monaco, avevamo fatto delle piccole cose, da studenti, diciamo".

La Germania è un laboratorio di regie moderne, talvolta spudorate. Approva?
"No, in genere non mi piacciono le regie alla tedesca. L'opera deve essere un sogno, non deve rispecchiare la nostra realtà. Una realtà che è povera, già divulgata da televisione e cinema. L'opera deve essere magia. So anche che dobbiamo andare avanti, a passi piccoli però".

Adesione al testo costi quel che costi?
"C'è già l'interpretazione della vicenda, ed è quella fornita dal compositore che sempre dà una chiave registica. Ogni frammento musicale richiede un certo tipo di regia. Scena e musica devono combaciare altrimenti sono guai. Puccini dà indicazioni dettagliate, altri no tuttavia offrono una base che è il punto di partenza di qualsiasi regia. Altra cosa, la storia deve essere subito comprensibile, altrimenti vuol dire che ci si è discostati troppo dall'originale".

Che "base" ha lasciato Wagner per Lohengrin?
"Grande problema. Se guardiamo alle immagini della prima rappresentazione, capiamo che quel Lohengrin non risponde più ai gusti e canoni di oggi. In Wagner va risolta la compresenza di due livelli: quello della realtà, della storia di persone in carne ed ossa, e quello del mito. Non è facile trovare una soluzione".

Quali sono i momenti e gli aspetti più difficili da risolvere e che vorrà discutere subito con Guth?
"L'identità di Lohengrin. Da dove viene? Come è arrivato? Sembra un extraterrestre. E interessante la prima frase che canta. Ti aspetti l'ingresso di un supereroe e invece lui si rivolge al cigno. Wagner ci consegna subito un antieroe, aggiunge umanità alla persona mitica. Questo doppio livello è per me fonte di difficoltà".

Altri dubbi?
"Quando dichiara amore a Elsa, come posso, io come attore, spiegare che Lohengrin non sta mentendo, ma si è innamorato veramente? Nel terzo atto esagera nelle sue spiegazioni, si descrive, svuota il sacco. Mi dico: forse vuole impressionare la fidanzata? Alla fine credo che Lohengrin capisca che tutto è frutto del suo sbaglio. Il suo piano è andato a pezzi, è crollato, distrutto dalle sue emozioni. Ha sbagliato miscelando la sua missione con la sfera privata. Ecco perché la sua ultima aria non è eroica. Alla fine è distrutto, depresso, forse si vergogna".

Un Lohengrin umano...
"Credo sia importante mettere in luce l'uomo dietro l'eroe, quella sua persona complicata".

Troppo complicata?
"Intrigante per un cantante, Lohengrin offre uno dei ruoli più interessanti per un attore".

Anche l'uomo Kaufmann è complicato?
"Spero di no, bisognerebbe chiederlo a mia moglie e agli amici. Non sono perfetto... La mia professione mi assorbe molto, capita che porti a casa le difficoltà e lo stress del mio lavoro, specie quando ho dovuto fare cose che non condividevo del tutto. Difficile liberarsi da certe emozioni. Ma in genere sono accettabile".

A proposito di casa. Ora è tornato a Monaco.
"È la città in cui mi sento veramente a casa. Offre una bella combinazione di precisione tedesca ed allegrezza bavarese. In ottobre, per dire, fra una recita e l'altra di Tosca ho potuto stare con gli amici alla festa della birra. Sono vicino ai laghi, così faccio vela, ai campi da sci".

Poi lavora molto con il teatro
"Finalmente. Un giorno, a Vienna, Nikolaus Bachler (sovrintendente dell'Opera di Stato Bavarese, rida) mi chiese perché non cantavo mai nella mia città. Risposi che non mi invitavano. Ora mi invita regolarmente, e soprattutto mi fa fare quello che più mi piace.

Nel 2013 cosa la impegnerà di più: Verdi o Wagner?
"Entrambi, direi. Dopo Lohengrin avrò Parsifal al Met e a Vienna. Farò Don Carlo a Londra, Monaco e Salisburgo, quindi il mio primo Trovatore a Monaco".

Incisioni discografiche?
"Abbiamo appena registrato un cd dedicato a Wagner, per Decca. Ci sono frammenti di opere, tra cui Lohengrin. Dovrebbe essere in circolazione da febbraio".

Torna a Milano diretto da Barenboim. Cosa contraddistingue questo direttore?
"Non fa mai nulla di ovvio, cerca sempre di trovare nuove prospettive tiene vivo lo spettacolo dunque. Ricordo che una volta andammo in scena dopo aver fatto pochissime prove, quasi improvvisammo ma proprio per questo l'esito fu eccellente.

Cosa rappresenta, oggi, la Scala?
"Ha una tradizione imbattibile, basti pensare alla collezione di prime mondiali. Un teatro non può sempre mantenere lo stesso livello, e io non conosco nei dettagli la situazione della Scala per dire a che livello appartenga oggi. So che da studente di canto avevo un sogno, quello di cantare alla Scala".

Con Carmen avrà appurato le attese e nevrosi che si accendono attorno a una prima scaligera...
"Ho visto che rappresenta un evento anche aldilà del contesto puramente artistico, un punto di riferimento della cultura in Italia Non c'è nulla di male in tutto questo. Il cast di Lohengrin è splendido, cercheremo di fare del nostro meglio per non deludere".

Da artista tedesco, cosa dice del Wagner made in Italy?
"Vedere questa attenzione per Wagner nei paesi latini come Italia e Spagna mi incuriosisce molto, devo dire, è stata una sorpresa...".

Stessa domanda ma per Verdi.
"Di recente ho fatto Requiem cori i complessi della Scala. Non poteva esserci migliore combinazione. L'orchestra e il coro scaligeri hanno i colori, suono, forza e soprattutto l'anima giusta per Verdi. Una pagina come il Requiem non conta che venga eseguita senza imperfezioni, vale che emerga la sofferenza, deve essere vissuta. E questo è stato il Requiem che abbiamo fatto".

Sa che alla Scala si apre la successione a Lissner?
"Credevo fosse ancora ufficiosa la notizia del suo passaggio all'Opéra... ".

Ha lavorato (Zurigo) e lavora (Monaco) nei teatri condotti dai migliori sovrintendenti in circolazione. Chi è il sovrintendente del Duemila?
"Un uomo che sappia emozionarsi per l'opera, ma anche capace di trovare un equilibrio economico, consapevole che di questi tempi è vitale ottenere risorse".

Il caso di?
"Pereira. Abile come pochi nel convincere gli sponsor a investire su una piccola città come Zurigo. Vive l'opera con tutto se stesso, anche perché ha studiato canto. Tutti i teatri, Scala compresa, sanno che i governi non hanno più i mezzi di un tempo, quindi gli entusiasmi devono fare i conti con le risorse a disposizione. La spesa non può che essere razionale".






 
 
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