L'Opera
Nicola Salmoiraghi
 
Jonas Kaufmann - Verismo Arias

Un Cd superbo, senza mezzi termini. E qui potrebbe finire la recensione. Ovviamente non sarà così. Perché di questa incisione occorre parlare, eccome.

Innanzitutto per dire quanto siano straordinari i complessi del santa Cecilia diretti da Antonio Pappano, alias il più grande direttore «d'opera» del mondo oggi, che non si sgomenta oltretutto di affrontare un repertorio tanto inviso agli incliti e ai colti e in realtà non meno che straordinario quanto amato dal grande pubblico. E lo fa con passione, trascinante esplosione di colori orchestrali, ricchezza di abbandoni e sfumature. Ed è così che Giordano, Cilea, Leoncavallo, Mascagni, Zandonai, Boito, Ponchielli risultano non meno nobili di Mozart, Wagner, Strauss, Verdi, Puccini. La differenza sta nel manico, come si dice.

E Jonas Kaufmann? Con questa incìsione sale definitivamente sul trono di «tenore assoluto» del momento, tanto convincente come Don José o Werther che come Lohengrin o Florestan. Tutte le principali arie del repertorìo verista - o limitrofo - sono affrontate con risultato stupefacente.

II timbro di Kaufmann, scuro, vellutato, dalle risonanze quasi baritonali, è impreziosito da un registro acuto sfolgorante e timbratissimo, che si veste di bagliori argentei e il cantante è capace di pianissimi, mezzevoci e sfumature da brivido.

Ascoltate il suo Andrea Chénier («Un dì all'azzurro spazio», «Come un bel dì di maggio», il duetto finale «Vicino a te s'acqueta» cantato con Eva-Maria Westbroek, note sicurissime ma interprete un po' freddina), il suo Loris («Amor ti vieta») il suo Federico («È la solita storia del pastore»), il suo Maurizio di Sassonia («L'anima ho stanca», «La dolcissima effigie»), il suo Faust («Dai campi, dai prati», «Giunto sul passo estremo»), il suo Enzo Grimaldo («Cielo e mar»). Rappresentano un personalissimo miracolo di tecnica, slancio, accento appassionato, interpretazione virile e intrisa di decadente estenuazione - pare un ossimoro, ma così è - con ascese alle vette del pentagramma soggioganti e dolcissime sfumature.

Il fraseggio libero e del tutto nuovo sfoggiato in pagine come «Vesti la giubba», «Viva il vino spumeggiante», «Mamma quel vino è generoso» o la «Testa adorata» dalla Bohème di Leoncavallo, possono sorprendere ma gettano una luce indiscutibilmente nuova e magnetica su queste pagine, dove ancora una volta Kaufmann ribadisce la grinta interpretativa di autentico fuoriclasse dei canto.

Un capolavoro a sé è il lamento di Romeo, «Giulietta, son io» dal Giulietta e Romeo di Zandonai, dove la disperata, lancinante invocazione sul corpo dell'amata si fa grido dell'anima in musica e il colore vocale del tenore rifrange tutte le possibili gradazioni dell'amore spezzato. Grandissimo.

Completano il recital due autentiche chicche: «Sì, questa estrema grazia» dai Lituani di Ponchielli e «Ombra di luce» di don Licinio Refice.

Registrazione e spaziatura sonora allo stato dell'arte per un Cd che non può mancare sullo scaffale di ogni appassionato per almeno tre motivi: la bacchetta superlativa, un tenore tra i più grandi di oggi, forse il più grande, e un repertorio che non ci stancheremo mai di difendere e rivalutare. O meglio, di valutare nel suo giusto, importantissimo, valore.

 






 
 
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