Operadisc, 29/07/2009
WS Maugham
 
Sehnsucht di Jonas Kaufmann
Imbraghettato in un tenebroso look transilvanico all’ultima moda e appiccicato con l’ausilio di photoshop dentro celebri tele di Friedrich, Kaufmann "il bello" ha ricevuto dalla Decca il trattamento riservato alle superstar: packaging lussuoso, direttore da grandi occasioni (Abbado), "spalle" vocali del calibro di Volle e DVD con allegato making of. Per fortuna Kaufmann “il bello” è, perdonatemi, anche Kaufmann “il bravo” e questo CD - a prescindere dalla melassa rocchettara della confenzione- mi sa che possa vincere la palma dell'uscita tenorile più interessante degli ultimi tempi.

Il primo recital - "Romantic Arias"- fece storcere il naso a molti appassionati; un centone di arie (dalla Dannazione alla Tosca attraverso Meistersinger, Boheme, Martha, Traviata, Rigoletto, Freischutz, Carmen e Wether) tutte messe in fila come un serie di hits popolari. Sotto il profilo editoriale, insomma, si trattava di un disco Decca vecchio stile studiato per presentare un versatile cavallo di razza interessante anche per ascoltatori occasionali. Purtroppo, o per fortuna, Kaufmann non era il tenore adatto a questo tipo di operazioni e quindi il CD, sebbene di alto livello complessivo, apparve tutt'altro che omogeneo se smontato aria per aria. Di fronte a un debutto di tale ambizione i vociomani più integralisti si misero al lavoro con i soliti compassi per misurare durezze, lunghezze, durate di acuti, messe di voce, passaggi di registro et similia. Morale della favola: anche se le lodi furono di gran lunga superiori alle contumelie si lessero -soprattutto online- molte sciocchezze e Kaufmann venne sbrigativamente liquidato come il solito tenore da microfono costruito a tavolino. Il fatto che questo artista fosse conteso dai principali teatri mondiali (non quelli italiani) non sfiorava minimamente alcuni sedicenti custodi della dottrina: Kaufmann altro non era che l’ultimo esemplare di come l’arte canora si stesse degenerando.

In questa giostra di lodi alternate a critiche, a molti era sfuggita una peculiarità di Kaufmann che invece risultava evidente e ne costituisce tuttora la caratteristica più significativa: la capacità rara di costruire, anche in un ambito forzamente decontestualizzato come il recital, personaggi autentici, sfaccettati, coerenti e musicali. Chi si aspettava il solito tenore che spalma il proprio strumento su una quindicina di arie rendendole tutte uguali rimaneva deluso; ma incontrava un magnifico artista capace, anche in soli tre minuti, di schizzare un profilo con i tratti salienti del personaggio in gioco.
Questa prodigiosa espressività è ulteriormente palese in questo secondo CD, costruito dalla Decca con maggiore logica e intelligenza. Si tratta di brani circoscritti a un periodo ben definito (meno di un secolo, dal 1791 della Zauberflote al 1882 del Parsifal) tutti afferenti al repertorio di area tedesca con uno spazio particolare dedicato a Wagner. I due brani dal Lohengrin (monologo del III atto e Finale), il Wintersturme, i due del Parsifal (tirata del II e Finale) sono le punte d'eccellenza.

Che Kaufmann non fosse un heldentenor tradizionale lo si poteva supporre e, in un certo senso, lo si dava per scontato: non pensavo però che brani ormai entrati nell'uso comune come questi potessero rivelare spunti esaltanti e, almeno per me, del tutto nuovi. Non è solo questione di un Wagner lirico, chiaroscurato nel fraseggio, vario nella dinamiche; ormai quasi tutte le voci chiamate a misurarsi con questo repertorio si sforzano, chi più chi meno, di lavorare sulla scrittura wagneriana a fini espressivi. Kaufmann si spinge oltre: riesce a creare una sorta di nuovo equilibrio tra il peso fonico di ogni parola e la scrittura vocale sottesa legandole alla perfezione con l'ordito orchestrale. E' un concetto difficile da spiegare, ma è come se ogni singola sillaba trovasse un'assonanza perfetta con la nota che l’esprime nella creazione di una parola cantata di cui viene valorizzato, come dev'essere nel teatro wagneriano, il suo significato letterale.

Il declamato di Kaufmann è quindi rivoluzionario: traslucido, vario, chiaro all'inverosimile, ritmicamente perfetto, incisivo senza essere mai enfatico e prodigiosamente espressivo. Le pagine del Lohengrin sono straordinaria ma il vertice sta nella grande scena del II atto dal Parsifal dove Kaufmann lavora su ogni singola sillaba del testo al fine di rendere compiutamente lo stupore doloroso ma al contempo catartico di chi scopre una verità evidente ma che fino a poco prima gli era preclusa. Wagner parla di rivelazione e conoscenza; Kaufmann la traduce in suoni.

Negli altri brani siamo sempre di fronte a un fuoriclasse per quanto riguarda la valorizzazione del dato teatrale. Ammetto però che i soprassalti degli ascolti wagneriani non possono, ovviamente, essere ripetuti. Dico ovviamente per questo motivo: con buona pace dei suoi detrattori, Kaufmann non è un tenore buono per tutti gli usi, ma un artista raffinato, intelligente, che ha messo a punto una tecnica vocale d’alta scuola ma deliberatamente orientata verso un certo tipo di repertorio. Basta un esempio. L'aria del ritratto dalla Zauberflote, così come ce la presenta Kaufmann, merita una sufficienza risicata. Così come quella dell’Alfonso und Estrella. Senza dubbio è vario, rispettoso dei segni d’espressione e si sintonizza con sorprende acume con gli impasti orchestrali. Ma è fuori dal suo territorio e si sente. Sono arie dove la linea vocale, i difficilissimi intervalli, le dosature dei fiati, le delicate fiorettature richiedono un certo tipo di impostazione vocale. Che non è quella di Kaufmann. Nel Fierrabras le cose vanno meglio, complice anche l'atmosfera surriscaldata del brano; si arriva poi alla prigione di Florestano dove Kaufmann può muoversi con maggiore disinvoltura e si dimostra travolgente soprattutto nel timbro livido, angoscioso e spaventato con cui apre la scena.

Abbado dirige questi medaglioni da padreterno e la registrazione (effettuata a Parma nel dicembre del 2008) è negli standard Decca: ovvero eccellente.
 






 
 
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