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Classic Voice, 18 May 2016 |
Paolo Petazzi |
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Leoncavallo – Pagliacci Mascagni Cavalleria rusticana
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Christian
Thielemann aveva scelto Cavalleria e Pagliacci per il Festival di Pasqua
2015 a Salisburgo: non è il primo illustre direttore tedesco che si
cimenta con la solita coppia, e anch’egli dimostra ad alto livello la
ovvia verità che le due partiture hanno tutto da guadagnare dalla cura
raffinata dei dettagli e da una concezione interpretativa nobile e
controllata nel valorizzare la scrittura orchestrale come nel
comportamento degli interpreti vocali. Tra questi domina come
protagonista assoluto Jonas Kaufmann, l’unico che canta in entrambe le
opere, offrendoci un Canio di rara intensità dolorosa (e non solo dal
punto di vista vocale: anche come attore regge benissimo la smania dei
primi piani di Brian Large) e un Turiddu di spavalderia molto contenuta,
anzi, segnata da un rassegnato fatalismo, da un mesto presagio di morte
(anche prima dell’addio alla madre). Di alto livello l’insieme delle due
compagnie: Maria Agresta è una Nedda impeccabile, Dimitri Platanias un
Tonio vocalmente autorevole e in questo contesto più persuasivo e meglio
controllato che in altro repertorio. Li affiancano bene Alessio Arduini
(Silvio) e Tansel Akzeybek (Beppe). In Cavalleria Liudmyla Monastyrska è
una Santuzza dai grandi mezzi vocali, ammirevole nella linea di canto di
intensa espressività, anche se in rare occasioni non immune da qualche
difficoltà di dizione. Splendido Alfio è Ambrogio Maestri, Annalisa
Stroppa è Lola e Stefania Toczyska mamma Lucia.
Regia e scene di
Philipp Stölzl sembrano di insignificante mediocrità, per quel che è
dato comprendere senza averle viste dal vivo. La scena su diversi piani
articolati al loro interno in più riquadri richiederebbe una visione
d’insieme e una attenzione alla simultaneità che il video di Brian Large
ci nega, rendendo allo spettacolo un pessimo servizio con la sua
ossessione “cinematografica” dei primi piani. La mancanza di visioni
d’insieme, lasciate intravvedere solo raramente e di sfuggita è
insopportabile. Per quel che si riesce a vedere in Pagliacci
l’impostazione è tradizionale, e nello spettacolo della compagnia di
Canio c’è qualcuno dei cliché che in una certa ottica tedesca dovrebbero
rappresentare la comicità da guitti italiani: la ripresa di Brian Large
peggiora le cose, sottolineando in primo piano le buffonerie in scena e
di volta in volta indugiando sui dettagli delle reazioni del pubblico.
L’ultima frase, “La commedia è finita”, è purtroppo pronunciata da Canio
e non da Tonio, Canio resta isolato al piano superiore e così Large può
chiudere la ripresa sul suo volto. Almeno in questo video non posso
condividere l’ammirazione per lui di colleghi che stimo. Anche in
Cavalleria rusticana l’articolazione della scena in riquadri su piani
diversi poteva forse offrire qualche suggestione. Creava certamente
qualche guaio: Turiddu canta la serenata iniziale nel proprio
appartamentino, dove vive con Santuzza e col figlio che ha avuto da lei,
mentre Lola si affaccia ad un altro appartamento vicino. La trovata di
Santuzza e Turiddu conviventi con figlio è ridicola oltre che
inverosimile. Compar Alfio è un capo mafioso senza carretto (come vuole
ormai un luogo comune), ed elimina Turiddu in scena senza duello, con un
colpo di pistola. L’intenzione di evitare i luoghi comuni del
bozzettismo folcloristico, in sé apprezzabile, non porta a un risultato
coerente e persuasivo.
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