GQ (Italien), Giugno 2015
Testo di Corrado Beldì
 
 
Se la Merkel cantasse la Traviata...
 
Bravo, e charmant, specie perché è un tenore d'opera, Jonas Kaufmann è il nuovo simbolo di una Germania che morbida non riesce a esserlo mai. E ora si prepara a conquistare anche la Scala

Se pensiamo alla nuova Germania viene subito in mente lui, non certo Angela Merkel o qualche cupo mediano della nazionale tedesca. Un versatile globetrotter, amato dalle adolescenti ma anche dalle vecchie pasionarie di Wagner; inseguito in tutto il mondo; innamorato dell'Italia. Nel siglare una tregua con i loggionisti del Teatro alla Scala, il nuovo sovrintendente, Alexander Pereira, ha promesso di portare a Milano le migliori voci del pianeta. Il primo della lista è proprio lui, Jonas Kaufmann, per tutti JK, bello, bravo e pieno d'inventiva, forse il più grande cantante del nostro tempo: il 14 giugno sarà a Milano per un attesissimo recital tutto dedicato all'Italia, con un'anticipazione dell'album Puccini-Pappano, in uscita a settembre.

A più di 25 anni dalla caduta del muro di Berlino, Kaufmann è il nuovo simbolo del Paese trainante non solo dell'economia, ma anche della cultura europea, orgoglioso del suo essere germanico. Ma cosa significa essere tedesco oggi?

«Far parte di una grande cultura associata alla parola germanico, prima che i nazisti ci conducessero alla barbarie.

Das Land der Dichter und Denker, la terra dei poeti e dei pensatori. E dei musicisti, aggiungo io. Siamo troppo politically correct per coltivare il nostro orgoglio germanico, ma perché un cantante o un attore non dovrebbe essere fiero che la sua lingua sia quella di Johann Wolfgang von Goethe, Friedrich Schiller, Heinrich Heine e Thomas Mann?».

Kaufmann ha pubblicato da poco l'album You Mean the World to Me, dedicato agli anni berlinesi che vanno idealmente dalla première di Paganini — operetta di Franz Lehár, primo grande trionfo del cantante Richard Tauber — fino al crollo della Repubblica di Weimar e alla notte dei lunghi coltelli. Gli anni della Nuova Oggettività, di Grosz e di Otto Dix, del cabaret e dei caffè, dei progetti di Bruno Taut, ma anche della divina Garbo nei film di Pabst. «Sono sempre stato affascinato da quelle canzoni. Mia nonna le intonava e mio padre aveva tutti i dischi dei tenori di quegli anni. Da cantante d'opera, però, mi è capitato raramente di interpretarle, se non in qualche bis. Ho approfondito l'argomento e ho scoperto quanto fosse vasto quel repertorio. Così ho fatto un disco sulle hit a Berlino attorno al 1930, dai pezzi di Lehár fino alle canzoni di Paul Abraham che anticipavano la musica pop».

Incontriamo Jonas Kaufmann in un luogo segreto, una vecchia casa polverosa che sembra uscita dal passato, vicino alla East German Radio di Berlino: il disco è stato registrato qui, negli studi (quasi) abbandonati per anni, dove il suono è meraviglioso, con un incredibile accento nostalgico. «Il termine "nostalgico" per me è troppo sentimentale», riprende JK. «Ma di certo ho da sempre grande affinità con il passato. Musica, letteratura, arte, cinema. Quegli anni sono una miniera d'oro. Un giorno mi piacerebbe interpretare anche le canzoni di Brecht per le musiche di Eisler e Weill. Un altro colore, altrettanto interessante, di quell'era berlinese. Meriterebbe un altro cd».

Il dvd del suo Don Carlo è stato un trionfo del 2014: ha venduto più di Bob Dylan e di Michael Jackson

Il disco, che inizia con l'immortale successo di Richard Tauber Girls Were Made to Love and Kiss, è bello e divertente: dopo il dvd del Don Carlo, con cui ha superato Michael Jackson e Bob Dylan, è lecito pensare che possa scalare perfino le classifiche pop. La dedica a Tauber, grande tenore ebreo tedesco di quegli anni, esule del nazismo e poi morto a Londra, lo rende molto speciale. Un disco profondamente antinazista, ma anche profondamente germanico. «Tauber è il mio vero eroe. La sua voce era unica, per fraseggio, eleganza, dolcezza e tutti gli abbellimenti. Difficile resistere a quella magia. Ai tempi la più grande fan di Tauber era Marlene Dietrich. Certe canzoni fecero di lui e Lehár delle autentiche star».

Non a caso, la Dietrich considerava Tauber il maestro di Bing Crosby e di tanta musica americana: simbolo tedesco, visse intensamente e morì troppo giovane. Memorabile la sua ultima registrazione: un Don Giovanni, nel 1947, a Londra. «Quando la Wiener Staatsoper arrivò in tour al Covent Garden — con recite di Salomè, Fidelio e Don Giovanni — Tauber chiese di poter cantare con quel grande ensemble mozartiano almeno una sera», racconta Kaufmann. «Vista l'ammirazione che aveva per lui, Anton Dermota fece un passo indietro e lui affrontò l'ultimo concerto della sua vita in modo formidabile, nonostante avesse un polmone solo».

Mori tre mesi dopo, e quel concerto rimane uno dei momenti più strabilianti della storia della musica. Dovremmo chiederci se un cantante d'opera può avere un'influenza politica. Hermann Göring tentò di fare di Lotte Lehmann un simbolo del nazismo. Lei rifiutò, e il suo esilio fu un atto di coraggio civile e politico che ispirò moltissime persone. Per Tauber non fu molto differente. Mi vengono in mente anche le posizioni di Arturo Toscanini e Charlie Chaplin durante il terzo Reich».

Per alcuni, Jonas Kaufmann è un cantante onnivoro, per altri un maratoneta, per altri ancora dovrebbe specializzarsi. Eppure, finora non ha sbagliato un colpo: 43 ruoli in venti anni di carriera. Vuole forse arrivare a cento? «Davvero sono 43? Non li avevo mai contati! Certo non sono mai stato ossessionato dalla specializzazione. Il leggendario baritono Titta Ruffo diceva: "Se dovessi rinascere, sarei più saggio: mi specializzerei in sei ruoli e cercherei di farli alla perfezione". No, questo non fa per me, anzi, mi porterebbe alla morte. Mi piacciono gli stili differenti, mi piace mescolare repertorio italiano, francese e tedesco. Solo così posso riuscire a essere sempre flessibile, nel canto come nella vita».

Kaufmann ricorda bene le lunghe estati, negli Anni 70, a Lido di Classe, non lontano da Ravenna. Un bambino come tanti, con pinne e secchiello; una famigliola tedesca in vacanza sulla riviera romagnola. Ecco dunque l'Italia nel cuore, l'eterno duello tra Verdi e Wagner. E la curiositá di sapere chi dei due porterebbe su un'isola deserta. «Se dovessi prendere la questione alla lettera, per la sua umanitá porterei con me Giuseppe Verdi. Strauss, però, insegna che "occorre separare l'uomo dal suo lavoro". Mentre ero in scena con il Parsifal al Metropolitan di New York cominciai a preparare Il Trovatore: ero così eccitato da voler cantare solo Verdi. Poi è venuta la recita successiva: cinque ore immerso nel cosmo wagneriano, in cui ho dimenticato ogni cosa. La veritá è che non potrei assolutamente vivere senza nessuno di loro due».

A Milano il 14 giugno, con la Filarmonica della Scala, dedicherà un intero concerto lirico all'opera italiana

Il legame di Kaufmann con Milano è fortissimo e strettamente legato al suo esordio nel Così fan tutte diretto da Giorgio Strehler per l'apertura del Nuovo Piccolo Teatro. Era il 1997. «Strehler aveva un'energia incredibile, gli occhi come carboni ardenti. Era tutto passione. Voleva persone in carne e ossa, reazioni spontanee. Stavo preparando Tradito, schernito e mi diede un sacco d'informazioni sullo stato emotivo di Ferrando. Poi mi disse: "Non m'interessa nulla di come lo farai, la cosa più importante è che il pubblico capisca che cosa sta accadendo. Se la prossima volta sentirai il bisogno di cantare in modo diverso, allora fallo! Non ripeterti mai". Per un esordiente come me, quella fu una lezione essenziale».

Infine, Jonas Kaufmann ci confessa il suo desiderio più represso, quello più difficile da soddisfare. »Trovare nel mio frigorifero un vero Kardinalschnitte, il tiramisù austriaco, ed esattamente quello del Café Schatz, che addolcisce sempre le mie prove al Festival di Salisburgo. Ti prego, non tentare di procurarmi un'imitazione: mi piace soltanto quello di Salisburgo, fresco del loro frigorifero».

Aspettiamo JK il 14 giugno a Milano, dove secondo alcuni rumors poi non confermati avrebbe dovuto vestire i panni di Turiddu in Cavalleria rusticana, in un concerto lirico con la Filarmonica della Scala dedicato all'opera italiana: abbiamo un ancora un po' di tempo per trovare un dolce milanese che lo faccia sentire meglio che a Salisburgo.






 
 
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