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L'Opera, dicembre 2012 |
di Giancarlo Landini |
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L'irresistibile rebus Jonas Kaufmann
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Il tenore tedesco, che inaugura la stagione scaligera come Lohengrin, è forse "il" Tenore del momento, tra adoratori e detrattori; una voce e una tecnica particolarissime, una personalità scenica dominante, un'indubbia statura d'artista, e l'ambizione di aspirare ad essere tenore assoluto, con le scelte di repertorio presenti e future; in ogni caso il cantante è indiscutibilmente uno dei più grandi interpreti di questo inizio di secolo, in attesa degli sviluppi a venire |
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Il 10 novembre ero alla Scala: Rigoletto. Nel primo intervallo mi ero appena
sentito al telefono con un caro amico che la sera precedente aveva assistito
al recital di Jonas Kaufmann a Montecarlo. Subito dopo ho incontrato una
gentile signora, cara amica e amica dell'amico, che mi aveva appena
telefonata: raffinata intenditrice con ascolti internazionali. Inevitabile
parlare del tenore tedesco, che divide e crea discussioni. La verità è che
Kaufmann è un rebus, un gran bel rebus. Ma è un rebus.
È difficile
classificare la sua voce, è difficile classificare il suo canto, è difficile
classificare la sua tecnica: specie se si procede per teorie piuttosto che
stare alla realtà. Ma se stiamo alla realtà uno dei pochi punti fermi rimane
il fatto che Kaufmann deve essere considerato uno dei 'tenori di maggior
rilevanza, almeno da una decina d'anni, da contare per difetto, gli ultimi
di una carriera ventennale, quelli in cui si sono andati meglio precisando i
contorni della sua arte.
Uno sguardo alla carriera ci può aiutare a
comprendere meglio i termini dei rebus. L'attività artistica di Kaufmann
prende l'avvio nel 1992 con il debutto alla Musikhochschule di Monaco,
Brighella nell'Ariadne auf Naxos. Fino al 1996, Kaufmann si esibisce nella
provincia tedesca in parti di comprimario, come Gastone della Traviata,
Flavio della Norma, Andres nel Wozzeck. Fin da subito si mostra attivo nel
repertorio sinfonico-corale come la Matthaus Passion o il Requiem di Mozart.
Nel settembre dei 1996 canta da protagonista, Don Ottavio nel Don Giovanni
al Goethetheater di Bad Lauchstäst, Kaufmann si orienta così verso il
repertorio lirico-leggero. Lo confermano il Tamino dei 1997 allo
Stadttheater di Würzburg, lo Jaquino dei Fidelio alla Staatsoper di
Stoccarda, dove, nello stesso anno, il 1998, è Almaviva del Barbiere di
Siviglia. Tra il 1997 e il 1999 lo si ascolta in Italia, Ferrando nel Così
fan tutte, firmato da Battiston-Strehler e Jaquino nelle repliche del
Fidelio, che apre la stagione scaligera del 1999/2000, diretto da Riccardo
Muti. Nell'uno e nell'altro caso l'impressione che ricevetti fu quella di un
cantante senza dubbio superiore alla media, ma non sbalorditivo. «L'aura
amorosa» dei Piccolo Teatro era intonata da voce tedesca, alias rigida nella
dizione e nei fraseggio, ma tecnicamente ben proiettata, sostenuta da
discreto legato. Si coglieva l'intenzione di potere modulare, ammorbidendo i
suoni nella cadenza. In Jaquino la lingua madre toglieva la durezza
avvertibile in Italiano. In Jaquino, però, si ascoltava una voce più scura,
più simile a quella del Kaufmann che conosciamo, mentre la galanteria di
Ferrando lo spingeva a cercare un colore meno fosco nella prima ottava.
Negli anni immediatamente successivi, mentre si infittiscono gli impegni
nelle produzioni sinfonico corali sia in Germania che all'estero, il
cantante lirico aggiunge al suo repertorio l'Alfredo della Traviata e, a
Kassel, nel 2001, il ruolo del titolo dell'Idomeneo, mentre ritorna con
frequenza il Ferrando del Così fan tutte.
Si tratta di personaggi di
natura diversa, accomunati, almeno in parte, da una tessitura centrale, che
permetteva a Kaufmann di fare valere un bel medium. E vero, però, che a
circa selle anni dal debutto non si intravedeva ancora una spiccata
vocazione. Kaufmann, insomma era, in piena evoluzione e così la sua
carriera, dove si trovava ancora nella condizione di potere essere chiamato
come primo tenore per la Messa da Requiem a St.Florian e contemporaneamente,
per una parte, Cassio, di secondo tenore nell'Otello a Chicago.
Dai
2002 però i teatri sembrerebbero pensare a lui sempre più in grande. Zurigo
lo vuole per il Settecento del Ratto dal serraglio e della Nina, pazza per
amore con la Bartoli; Bruxelles per la Damnation de Faust, ma in forma di
concerto, mentre il Festival dei due Mondi di Spoleto per un recital al Caio
Melisso. Al Reginau Festival affronta Florestan del Fidelio, mentre con
Tamino nel 2002 entra alla Komische Oper di Berlino.
Nel 2003 gli si
aprono le porte del Festival di Salisburgo con il ruolo del titolo della
Clemenza di Tito, mentre a Zurigo affronta la prima opera wagneriana,
Tannhäuser, ma nella parte secondaria di Walter. L'attività concertistica si
fa sempre più intesa con l'affronto dei grandi cicli schubertiani, Kaufmann
continua ad affrontare ruoli lirici, come il Rodolfo della Bohème a
Stoccarda e il Cassio dell'Otello alla Bastille di Parigi, per poi nel 2005
barcamenarsi tra la produzione sinfonica, il Ruggero della Rondine, e il
Nerone dell'Incoronazione di Poppea a Zurigo, leve il future Siegmund si
cimenta con il Fenton del Falstaff, il Duca di Mantova, l'Alfredo della
Traviata, con il quale debutta al Met nel 2006. In quell'anno però è proprio
l'Opernhaus di Zurigo a impegnarlo come ruolo del titolo nel Parsifal,
seguito ad Edimburgo dal Walther dei Meistersinger von Nürnberg, mentre al
Covent Garden canta Don José nella celebrata edizione di Carmen con Anna
Caterina Antonacci sotto la direzione di Antonio Pappano.
Nel 2007 è
ancora l'Opernhaus a scritturarlo per Don Carlo che Kaufmann alterna ad
Alfredo, a Florestan e a Tamino. In quell'anno canta la Traviata alla Scala
con la Gheorghiu. Devo confessare che quel Kaufmann non mi fece per nulla
impressione e lo ritenni poco interessante. D'altra parte è possibile che
non fosse in una delle sue recite più felici o che le intemperanze della
Gheorghiu, mal digerite a Milano, finissero per distrarre cantanti e
pubblico.
Intanto nel 2008 Pappano lo vuole nella Tosca al Covent
Garden e la Lyric Oper di Chicago lo scrittura per Manon in coppia con
Natalie Dessay. Riprende l'opera di Massenet nel 2009 alla Staatsoper di
Vienna, mentre alla Staatsoper di Monaco debutta nel Lohengrin con l'Elsa di
Anja Harteros, sotto la direzione di Kent Nagano. Al Covent Garden partecipa
ad una nuova edizione del Don Carlo.
La Carmen, che apre la Scala nel
2009, sotto la direzione di Barenboim e che ripete al Met e a Monaco, la
Tosca e il Werther della Bastille caratterizzano la prima metà dei 2010,
mentre la seconda è dominata dal debutto nel Lohengrin a Bayreuth, l'Adriana
Lecouvreur di Berlino, quella memorabile di Londra, il diluvio di concerti
da camera e il Florestan di Monaco.
Il 2011 lo vede debuttare in Die
Walküre al Met, che poi riprende nel Gala di San Pietroburgo. Rende omaggio
a Jussi Björling con un Gala a Stoccolma a Richard Tucker con un altro Gala
alla Avery Fisher Hall di New York, dove al Met è Faust dell omonima opera
di Gounod. Carmen, Ariadne aut Naxos, ma questa volta nella parte di
Bacchus, segnano la sua partecipazione al Festival di Salisburgo del 2012,
mentre, è storia di oggi, inaugura la stagione della Scala, come Cavaliere
del Cigno. Questa rapida ricognizione ci permette di affermare che intanto
Kaufmann non è uno specialista che ambisca all'affermazione in un ambito
specifico del repertorio. Si candida piuttosto ad essere un tenore assoluto,
seguendo la scia di altri celebri colleghi che lo hanno preceduto. Al centro
della sua attività c'è il repertorio italiano, che ruota attorno ad alcuni
personaggi di Verdi e di Puccini. Troppo pochi però per essere definito un
tenore pucciniano o un tenore verdiano. Nel primo caso il risultato migliore
è da ricercarsi in Cavaradossi, la cui vocalità, più eroica meglio gli si
addice rispetto a quella di Rodolfo. Verdi si limita per ora ad Alfredo e a
Don Carlo, mentre nei 2013 si appresta a debuttare nella parte di Manrico.
Ma c'è da credere che presto sarà Otello.
L'origine tedesca rende
naturale la frequentazione con personaggi che nella carriera di Domingo o di
un tenore latino potevano risultare eccentrici. Ecco allora vediamo sfilare
in ordine: Tamino, Florestan, Max, Huon dell'Oberon (opera che ha inciso
sotto la direzione di Gardiner) e alcuni eroi wagneriani. Ma un Parsifal, un
Walter, un paio, di Siegmund e qualche Lohengrin per il momento sono troppo
pochi, per affermare che Kaufmann possa essere considerato un Heldentenor.
Ammesso e non concesso che si possa essere classificati Heldentenor per
avere cantato alcune opere di Wagner, Kaufmann può essere ritenuto il più
valido Lohengrin oggi in circolazione, ma il Siegmund del Met neri ci desta
lo stesso entusiasmo non tanto sotto il profilo artistico, quanto sotto
quello vocale, dal momento che taluni passi richiederebbero una maggiore
robustezza. Pertanto, dopo il Cavaliere del Cigno, ìl miglior personaggio
tedesco del nostro tenore, deve essere considerato Florestan, autorevolmente
consegnato al disco nella recente edizione firmata da Claudio Abbado.
Attorno a questi nuclei ci sono poi le incursioni nel Verismo, con
Adriana Lecouvreur, nella produzione francese, dal Faust di Berlioz al
Werther dell'omonima opera di Massenet. Maurizio, Werther e Don José devono
essere considerati tra i risultati più rilevanti di Kaufmann. Di ognuno di
loro Kaufmann ha fatto una creazione, riuscendo a produrre una lettura
originale dove il canto e la recitazione si sposano a meraviglia. L'aitante
fisico, il bel portamento, il viso adatto a rappresentare figure
appassionate e, per certi versi, dannate, uniti ad un canto che giudico di
alta scuola ne fanno un Maurizio, un Don José e un Werther tra i migliori
del dopoguerra.
Ma la sua è alta scuola? Kaufmann è un vocalista? Il
rebus si fa di nuovo complesso. Kaufmann è ingoiato? Su questo mi sono già
espresso, osservando che a tratti il dubbio è legittimo, mentre nella più
parte dei casi non lo sembra affatto. Se lo si ascolta in «De' miei bollenti
spiriti» delle ultime recite al Met, la voce è opportunamente posizionata.
Il suono è doverosamente appoggiato, sostenuto da un buon legato. la
tessitura, insidiosa, dal momento che gravita sul passaggio, è risolta senza
colpo ferire. La linea è condotta con rigore. Non è ingoiato, in «io la
vidi» del Don Carlo di Monaco, ma poi nel Duetto finale dei V Atto si fa
vociferante, la voce sfoggia sonorità non belle e nell'inno finale Anja
Harteros lo supera per la levigatezza dei suoni e per la giustezza dei
pianissimi. Eppure là, dove vuole Kaufmann piega il suono alla mezzavoce,
che io giudico autentica, mentre altri la considerano più vicina al
falsetto.
Basti l'esecuzione della recente Messa da Requiem
scaligera, sotto la direzione di Barenboim. In quell'occasione Kaufmann si è
comportato da autentico vocalista plasmando i suoni, smorzandoli e regalando
alla Sala dei Piermarini un ottimo «Hostias» C'è poi da osservare che se
Kaufmann fosse ingoiato, l'acuto ne risentirebbe, mentre funziona, pur senza
squillo particolare. Ma Kaufmann, peraltro, si astiene da partiture dove il
tenore deve affrontare una tessitura decisamente acuta. Vero è invece che il
cantante tedesco ha dalla sua il fascino di una voce dai timbro decisamente
particolare e un'indubbia statura di artista che è andato maturando via via
fino a diventare espressione di una personalità dominante, Rimane da
chiedersi se Kaufmann riuscirà a completare la sua crescita, dando al suo
canto una definizione completa. Ci rimane da vedere se il rebus può essere
risolto. Non ci rimane che stare alla finestra in attesa del risultato.
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