Classica Voice, Febbraio 2009
ALBERTO MATTIOU
Coverstory, SIGNOR BEL CANTO - Jonas Kaufmann - tenore d'Italia
Cambia che ti passa
Oggi Romeo (a Venezia), domani Parsifal (in cd). Il barocco e il Lied sempre. E Don José alla prossima inaugurazione della Scala. JONAS KAUFMANN ha paura di ripetersi. Ama il cambiamento. Come gli aveva insegnato Strehler

Jonas Kaufmann ha paura. A guardarla e a sentirlo non si direbbe. Eppure il tenore del momento ha paura. Paura di ripetersi. « Cambiare sempre”. Dice e potrebbe essere il suo motto. Ed in effetti fa appena in tempo a riprendersi da Carmen - incandescente debutto al Covent Garden di Londra con Anna Caterina Antonacci e Antonio Pappano sul podio, opera che interpreterà anche alla prossima “prima” della Scala - che ecco, don josè è diventato Parsifal. Ma nessuno è ammesso ad assistere al debutto wagneriano nel parallelepipeda di legno e vetro disegnato da Renzo Piano a Parma. Fuori il vento smuove le chiome degli alberi e le nuvole scorrono su un cielo invernale ma lucente come cristallo. Dentro, l’Auditorium Paganini è un accampamento di cavi, microfoni e pannelli disposti dalla squadra dei tecnici Decca per la registrazione di un album dedicato all’opera tedesca. Ci sono la Mahler Chamber Orchestra, il coro del Teatro Regio di Parma e Claudio Abbado. Brani da Lohengrin, Parsifal, Walküre, ma anche da Fidelio e dal Flauto magico sono accostati a un paio di pagine operistiche di Schubert.

Perché Schubert?

Perché è musica bellissima, anche se Schubert non ha avuto nessuna fortuna con il teatro. Ha scritto tante opere che non ha mai visto rappresentate, come Fierrabras e di Alfonso und Estrella. Probabilmente la colpa era dei libretti scadenti e della sua scarsa esperienza con il mondo del teatro.Verdi è stato molto più fortunato di lui. Eppure non tutte le opere di Verdi sono capolavori. Anzi”.

Oltre che in disco lei ha cantato Schubert anche a teatro.

“Sì, Fierrabras a Zurigo. Curioso è che anche Claudio Abbado ha diretto la stessa opera a Vienna, prima ancora che cominciassi a cantare su un palcoscenico. Anche in questo caso il libretto è molto ingenuo, con un intreccio macchinoso di cavalieri e crociati. Forse il vero teatro schubertiano sono i suoi Lieder”.

Perché è sempre alla ricerca di nuovi ruoli?Tanti suoi colleghi si accontenterebbero di continuare a cantare Fidelio o Traviata...

“Mi spaventa l’idea che possa essere considerato un tenore specializzato in qualcosa. Quando mi dicono che sono un buon Florestan allora penso subito a cantare un altro repertorio”.

Come Roméo et juliette questo mese alla Fenice di Venezia... (the interview was of course not done in February)

“Il repertorio francese mi pare ideale per alleggerire la voce. Bisogna mantenere la massima flessibilità del repertorio. E più facile correggere gli errori se si alterna in continuazione il repertorio. Così quando torno a cantare un titolo francese o italiano mi rendo conto meglio di dove posso aver sbagliato. Se invece la voce si abitua a fare sempre la stessa cosa allora è più prendere cattive abitudini. Non te ne rendi conto e gli altri pensano che non sai fare meglio. Ho paura delle etichette. Nella mia carriera mi hanno preso di volta in volta per un tenore tedesco, o italiano o francese, a secondo delle opere che cantavo. Bene, non sono un tenore tedesco, non sono un tenore francese, non sono un tenore italiano”.

Vale anche per gli spettacoli questa regola della flessibilità?

“Anche passare da una regia più tradizionale ad un’altra più innovativa può servire a migliorare la propria interpretazione. Se canto nella Traviata del Metropolitan che è un magnifico vecchio allestimento di Zeffirelli, perfeziono una certa idea del personaggio dentro i binari di quello che è si è fatto per quest’opera da decenni. Così mi sento più pronto ad affrontare il personaggio in una chiave magari molto moderna, come è successo a Parigi due anni fa con l’allestimento di Marthaler. Ti serve per non smarrirti a contatto con una lettura imprevedibile dell’opera. E con questa freschezza posso poi rientrare di nuovo nello spettacolo più tradizionale”.

Così sembra un tenore pronto a tutto...

‘A tutto proprio no. Sono arrivato a un punto della carriera in cui posso anche dire no, se qualcosa non mi persuade e se penso possa nuocere alla musica e al canto”.

Fra due registi così diversi come Franco Zeffirelli e Christoph Marthaler alla fine chi preferisce?

“Giorgio Strehler. Non è una battuta. Mi piace ricordare la mia breve esperienza a contatto con questo eccezionale maestro Rimpiangerò sempre di non aver avuto l’opportunità di lavorare più a lungo con lui. Ho partecipato alle prove per il Così far tutte che avrebbe inaugurato la nuova sala del Piccolo di Milano. Più che uno spettacolo vero e proprio fu un processo di avvicinamento all’allestimento. Lavorammo con lui per un mese, prima che la morte lo portasse via: dovevano ancora cominciare le vere prove sul palco Ma quante cose è stato capace di trasmetterci in quel periodo. Mi travolse la sua energia. Ricordo che parlò di una scena dell’opera per un’ora e mezzo e concluse che ogni volta bisogna essere diversi. Lui ripeteva che si deve cambiare sempre, perché la forma è vuota. Ogni sera diverso. Altrimenti niente emozione e muore il teatro”.

Sbagliato cercarsi un modello?

“Sbagliato. Sbagliato guardare al passato. Bisogna trovare se stessi. Certo, è molto difficile. Non si può barare e non vale ripetere qualcosa che non ci appartiene”.

A questo punto che valore può esserci ad ascoltare i dischi dei grandi del passato?

“Meglio di no, se lo si fa solo per cercare di imitarli”.

Ma fra i tenori non le viene in mente qualche nome di riferimento?


“Se devo pensare ad uno stile di voce allora si, posso fare tre nomi: Franco Corelli, Jon Vickers, Placido Domingo. Soprattutto Domingo è un esempio sbalorditivo perché canta il barocco e Wagner. Canta da tenore e da baritono. E un artista senza etichette”.

Ha appena debuttato nella Carmen al Covent Garden e la chiamano a Milano per la prossima inaugurazione alla Scala proprio con l’opera di Bizet.

“Sono entusiasta di cantare Carmen con Daniel Barenboim. Mi auguro sia una sorpresa come la mia prima Carmen. Non avrei mai immaginato che potesse essere così emozionante. Merito di un’artista come Anna Caterina Antonacci che ha saputo ricreare il personaggio senza folklore e con una carica di sensualità indomabile”.

E Antonio Pappano che vi dirigeva?

Che direttore! Da quando ho lavorato per la prima volta con lui a Bruxelles nella Damnation de Faust non smetto di ammirarlo. Adesso abbiamo lavorato insieme per una nuova incisione di Madame Butterfly con Angela Gheorghiu. Lui è un genio, perché sembra conoscere pregi e difetti della tua voce ancor prima di sentirti cantare”.

Dopo Monteverdi, Mozart, Verdi, Puccini, Massenet, Wagner e Bizet, quale sarà la prossima mossa? Un debutto nel repertorio russo?

Accarezzo sempre il sogno di affrontare opere come Onegin o La Donna di Picche. Ma non mi sento di interpretare un’opera di cui non padroneggio la lingua. Come si fa a cantare limitandosi a conoscere il senso generale di una scena? Non basta sapere che stai cantando qualcosa che ha un carattere triste o allegro. Devi possedere tutte le parole per afferrare le infinite sfumature che ti suggerisce la musica

Come nei Lieder...

“Mi piacciono tanto. Ho registrato un album qualche tempo fa dedicato a Richard Strauss. I Lieder sono bellissimi, perché se in un’opera alla fine racconta una sola storia, con i Lieder hai la possibilità di raccontarne tante e tutte in una sola sera”.
Tenori tutto fare

Kaufmann, Villazon & C. contro la specializzazione vocale.
Con un modello: Placido Domingo

E perché no? Perché un cantante non può cantare Verdi e Monteverdi o Wagner e Rossini? Per carità: ovvio che deve avere le note e tutto il resto. Qui non si auspica una Nina Stemme nei panni di Lucia e nemmeno una Natalie Dessay in quelli di Brunilde (anche se il risultato, in termini di fraseggio, potrebbe essere interessantissimo). Ma, per esempio, il disco monteverdiano di RolandoVillazon a me era piaciuto. E come sarà quello di prossima uscita (sempre Dg), dove l’Alfredo per antonomasia si mette in testa di arrampicarsi sulle arie di Händel?

Perché bisogna fare attenzione a non confondere lo stile, che èuna cosa, con l’interpretazione, che è un’altra.Villazon magari èmolto passionale e personale quando canta Il combattimento di Tancredi e Clorinda e ancora di più Sì dolce è ‘I tormento, ma siamo sicuri che sarebbe preferibile l’algida riservatezza adenoidea di qualche “specialista”? E poi: sappiamo più o meno “come”, in termini musicali, si eseguivano le musiche del passato: ma non sappiamo né sapremo mai “cosa” c’era dentro, che tipo di espressività. Conosciamo la cornice, non il quadro. Bellini per controtenore? Assurdo. Però forse la più bella esecuzione che io conosca di Vaga luna che inargenti, piccolo gioiello di solito usato come scaldavoce da tenori bombastici o soprani cinguettanti, èquella di David Daniels (e accompagnato non dal piano ma da una chitarra: ascoltare per credere).

Se anche il mondo delle voci classiche inventa un suo piccolo crossover, facendole uscire dai recinti sempre più stretti dell’iperspecializzazione, forse non è un male. Placido Domingo ha forse in repertorio troppi ruoli, ma nessuno, credo, gli rimprovera le sue escursioni wagneriane (e, a giudi care da quello che scriveva e voleva, men che meno l’avrebbe fatto Wagner). Del resto, sapete cosa cantò Ludwig Schnorr von Carolsfeld subito dopo essere stato il primo Tristano? Prima Erik, e vabbé, e poi una parte che oggi sarebbe improbabile affidare a unTristano: Don Ottavio (e poi mod, ma questa è un’altra storia).
ALBERTO MATTIOU






 
 
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